Israele ha ucciso almeno 216 giornalisti palestinesi dall’inizio dell’attacco genocida su Gaza del 2023. Alcune fonti ne contano anche di più. Sono stati uccisi più giornalisti che in entrambe le guerre mondiali, nella guerra del Vietnam, nelle guerre in Jugoslavia e nella guerra degli Stati Uniti in Afghanistan messe insieme. Così leggiamo nel rapporto “Costs of War” del Watson Institute for International and Public Affairs, pubblicato all’inizio di aprile 2025. Decine e decine di questi, come documentato anche da Reporters Without Borders, sono stati giustiziati, ovvero presi di mira per via del loro lavoro, in alcuni casi dopo essere stati avvisati, con logica mafiosa, dall’esercito israeliano. È il caso per esempio di Hossam Shabat, 24 anni appena, ucciso il 24 marzo scorso; talmente consapevole di essere nel mirino da lasciare un biglietto prima di essere ucciso. Ed è il caso di Wael al Dadouh, il giornalista di Al Jazeera che Israele non è riuscito ad assassinare e sul quale si è vendicato sterminando al sua intera famiglia, compreso il figlio Hamza Dahdouh, anch’egli giornalista e collega in Al Jazeera.

È notizia di oggi che il Premio letterario internazionale Tiziano Terzani ha rinunciato a premiare un’opera letteraria nella sua edizione 2025, “per affermare invece con forza la necessità di dedicare il Premio alla memoria delle giornaliste e dei giornalisti palestinesi uccisi a Gaza a partire dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco terroristico di Hamas”. È il primo vero riconoscimento che in questo Paese giunge dal mondo giornalistico ai colleghi e alle colleghe palestinesi. Tardivo, ma necessario. Il premio sarà ritirato proprio da Wael al-Dahdouh insieme a Safwat al-Kahlout, il 10 maggio prossimo a Udine.

Il nostro corrispondente Hamed Sbeata ha raccontato in un video reportage realizzato in due momenti diversi alcuni passaggi del lavoro dei giornalisti palestinesi; nello stile delle sue Cronache da Gaza, ancora una volta le sue foto mettono al centro la vita, in questo caso la vita sua e dei suoi colleghi: i momenti di pausa, di lavoro, di attesa, le proteste dopo l’assassinio di Hossam Shabat e Mohammad Mansour. Momenti di esistenza fra le bombe, senza sapere se si arriverà a sera o al mattino successivo.

Il 7 aprile Israele ha bruciato vivi alcuni colleghi e amici di Hamed Sbeata; persone che conosceva, con cui lavora. Tutto è molto difficile ma, come ci ha scritto, “continuare a pensare al lavoro mi fa sentire vivo”, anche se la passione, confessa, si affievolisce ogni giorno, man mano che la conta dei morti cresce e Israele continua a torturare la popolazione ordinando evacuazioni impossibili, perché di posti dove andare non ce ne sono più. Le condizioni in cui lavorano i giornalisti palestinesi, a rischio della vita, sono spesso quelle di collaborazioni sottopagate, con stampa per lo più del mondo arabo. Gli stessi giornalisti palestinesi hanno criticato aspramente il fatto che i loro contributi non vengano riconosciuti dai media occidentali, che i loro reportage non vengano ripresi e che le collaborazioni avvengano senza il dovuto riconoscimento e sostegno, nonostante il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti sul campo a Gaza si sia rivelato di importanza cruciale per non far cadere il silenzio su quanto sta accadendo da oltre un anno e mezzo, visto il divieto d’ingresso ai giornalisti internazionali imposto immediatamente da Israele. Kritica come sapete bene è un progetto minuscolo, appena nato. Per noi lavorare con Hamed Sbeata è un grande onore oltre che una responsabilità. E per tutto il tempo che potremo, lo sosterremo. Contando sui nostri lettori. Perché i giornalisti e le giornaliste palestinesi lavorano per noi.


Hamed sta producendo un film, e noi di Kritica abbiamo deciso di aiutarlo a trovare i fondi. Durante tutto il mese di aprile, la partecipazione economica che i lettori di Kritica invieranno sarà destinata, al 50%, al finanziamento del film di Hamed, “La corda di violino/The violin string”. Ecco un reel fotografico.

Mohammed Abu Aida ha 14 anni. Era un giovane e promettente suonatore di oud a Gaza, quando una bomba sganciata da Israele ha colpito la sua scuola e gli ha portato via una mano. Sama Najm studiava violino e canto all’istituto Edward Saïd di Gaza. Con l’inizio dell’attacco israeliano del 2023, ha lasciato i suoi sogni in sospeso per aiutare la sua gente.

A Nuseirat, nel campo di sfollati in cui la giovane presta aiuto come volontaria, Sama e Mohammed si incontrano. E Sama insegna a Mohammed a suonare il violino, anche senza una mano. Ha perso il suo arto, ma non ha perso la sua musica.

Aiuta Hamed Sbeata e il suo team a realizzare un film sulla storia di Mohammed e Sama, per mostrare al mondo in che modo, a Gaza, la vita va avanti grazie alla forza d’animo e ai legami fra le persone. Resistendo al genocidio, alla pulizia etnica e all’odio.

Puoi anche finanziare il film attraverso la pagina di produzione collettiva che abbiamo aperto. Grazie di cuore.

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