L’ordinanza della Procura di Genova che dispone misure cautelari contro Mohammad Hannoun e altri membri dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (ABSPP) è un documento monumentale: oltre 300 pagine di accuse, prove, ricostruzioni storiche e analisi giuridiche. Dovrebbe essere l’esempio di come la giustizia italiana affronta con rigore e obiettività un caso complesso e delicato.

Invece, quello che emerge da un’analisi attenta delle prime sessanta pagine – solo le prime sessanta, un quinto del totale – è qualcosa di profondamente diverso e inquietante: una sistematica opera di falsificazione storica, manipolazione dei fatti, omissione di prove contrarie e adozione acritica della narrativa di una parte in causa – Israele – per costruire un’imputazione che non si limita a colpire singoli individui, ma criminalizza l’intero universo del sostegno umanitario e politico alla causa palestinese.

In questo articolo documentiamo le falsificazioni più gravi individuate nelle prime sessanta pagine, ma non è un catalogo tecnico: è la storia di come la giustizia può trasformarsi in propaganda quando accetta di essere strumento di un’agenda politica.

Quando i premi Nobel diventano talebani: Il caso del Bangladesh

Cominciamo dalla falsificazione più grottesca, quella che più di ogni altra rivela il metodo e l’agenda di questo documento. Tra le pagine 23 e 25, in una sezione dedicata a dimostrare che “ogni movimento islamico è fondamentalmente jihadista”, il documento presenta la rivoluzione studentesca del Bangladesh del luglio-agosto 2024 come un esempio di violenza islamista comparabile alle azioni dei talebani.

Secondo l’ordinanza, nel 2024 studenti bengalesi perpetrarono “violenza diffusa indiscriminata” contro minoranze religiose, causarono “pesanti perdite” alle forze dell’ordine e si comportarono come estremisti religiosi. L’equiparazione è esplicita: siccome taliban in pashto significa “studenti”, allora gli studenti musulmani bengalesi (i quali ovviamente non parlano pashto) che manifestano sono, di fatto, talebani.

C’è solo un problema: questa versione è l’esatto opposto di ciò che accadde.

La rivoluzione del Bangladesh dell’estate 2024, conosciuta come “July Revolution” o “Gen Z Revolution”, fu un movimento pro-democrazia guidato da studenti universitari laici delle università più prestigiose del paese. Iniziò come protesta contro un sistema di quote per i lavori pubblici percepito come corrotto, e si trasformò in una rivolta popolare quando il governo della premier Sheikha Hasina rispose con una violenza brutale.

Le forze di sicurezza governative aprirono il fuoco sui manifestanti disarmati, uccidendo tra 800 e 1,400 persone – per lo più studenti. Il governo ordinò di sparare a vista. Le Nazioni Unite documentarono quello che definirono un assassinio di massa governativo, il “Massacro di luglio”. Non fu una violenza degli studenti: fu un massacro di studenti.

Quando il regime crollò, si formò un governo ad interim guidato da Muhammad Yunus – premio Nobel per la Pace, fondatore della Grameen Bank, icona globale della lotta contro la povertà. Due leader del movimento studentesco entrarono nel nuovo governo. Le Nazioni Unite celebrarono l’evento come “student-people uprising contro il fascismo”.

Il documento inverte completamente la realtà: le vittime diventano carnefici, i massacratori diventano vittime, una rivoluzione democratica diventa jihad islamista.

Perché questa falsificazione così spudorata in un documento su Hamas? Perché serve a sostenere una tesi centrale del documento: che ogni affermazione di moderazione da parte di movimenti islamici è menzogna tattica. Se anche studenti universitari che chiedono democrazia sono “in realtà” jihadisti, allora certamente Hamas non può essere sincero quando parla di politica invece che di guerra. La falsificazione storica diventa strumento per costruire una logica inattaccabile: qualsiasi cosa faccia Hamas, qualsiasi cosa dica, è terrorismo.

E il metodo è chiaro: studente musulmano = estremista. La similitudine etimologica diventa identità politica. L’orientalismo non è un sottotesto: è il testo.

Le vittime che scompaiono

Ma la falsificazione del Bangladesh, per quanto clamorosa, è quasi marginale. Le omissioni più gravi riguardano il cuore dell’accusa: la realtà della Palestina occupata, fino ad arrivare al genocidio in corso da due anni, completamente omesso dalle carte.

L’intero preambolo sulla nascita storica di Hamas, tutto il racconto della vita di questa formazione, sembrano puntare a una tesi già scritta: non quella di un territorio occupato e di una popolazione privata del suo diritto all’autodeterminazione fino a diventare vittima di pulizia etnica e genocidio, ma quella di una formazione votata alla jihad semplicemente in quanto antisemita, e antisemita semplicemente in quanto musulmana.

Non viene menzionata la Nakba (1948) né l’espulsione di 750.000 palestinesi dalle loro case e terre; vengono ignorate completamente le politiche di colonizzazione e apartheid; non vengono citate le violenze dei coloni o le demolizioni di case palestinesi. Ogni azione di Hamas è defintia terrorismo, ma non vengono qualificate mai come tali le azioni israeliane contro civili.
Il documento conta meticolosamente le vittime israeliane (484 morti in attentati) ma ignora le migliaia di palestinesi uccisi. A leggerlo, sembra quasi che l’occupazione israeliana non sia mai esistita o sia del tutto marginale, in questa vicenda storica.

Riguardo al 7 ottobre, il documento dedica pagine dettagliate agli attacchi di Hamas, citando numeri di vittime, elencando violenze sessuali, presentando tutto come fatto accertato da “prove” israeliane. Usa queste descrizioni per stabilire la natura “terroristica” di Hamas e, per estensione, di chiunque la supporti. Il bilancio delle vittime del 7 ottobre è la pietra angolare dell’intera imputazione.

In tutte queste pagine, un’espressione non compare, se non puramente di striscio: direttiva Hannibal.

La Hannibal Directive è una dottrina militare israeliana, introdotta segretamente nel 1986, che autorizza l’uso di forza massima – incluso l’uccisione di soldati israeliani appena catturati – per impedire che vengano presi come ostaggi. Per decenni rimase semi-segreta, discussa sottovoce, applicata raramente. Il 7 ottobre 2023, questa dottrina fu applicata su scala di massa e, per la prima volta nella storia israeliana, fu estesa ai civili.

Non è una teoria del complotto. Non è propaganda di Hamas. È un fatto documentato da fonti israeliane, ammesso da funzionari israeliani, investigato dalla stampa israeliana.

Nel febbraio 2025, l’ex Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ammise in un’intervista televisiva che l’ordine Hannibal fu dato “tatticamente” e “in vari luoghi” il 7 ottobre. Quando il giornalista spiegò che la Hannibal Directive significa “sparare per uccidere quando c’è un veicolo contenente un ostaggio israeliano”, Gallant non contestò. Anzi, si lamentò che il problema fu che in alcuni luoghi l’ordine “non fu dato”.

Nel luglio 2024, Haaretz – il più autorevole quotidiano israeliano – pubblicò un’indagine devastante basata su documenti militari e testimonianze di soldati. Alle 10:32 del mattino del 7 ottobre fu dato l’ordine: “non un singolo veicolo può tornare a Gaza”. A quell’ora, l’IDF sapeva che molti civili erano stati rapiti. L’ordine significava: sparate su quei veicoli. Elicotteri Apache, droni, carri armati aprirono il fuoco.

Efrat Katz fu uccisa dal fuoco di un elicottero israeliano mentre veniva trasportata a Gaza. A Kibbutz Be’eri, un carro armato sparò due granate su una casa con oltre 12 ostaggi, inclusi due gemelli di 12 anni; solo 2 sopravvissero. Il capitano Bar Zonshein ammise pubblicamente di aver sparato con il suo carro armato su veicoli sapendo che contenevano soldati israeliani. Un ex-ufficiale dell’aeronautica descrisse la situazione: “È stata una Hannibal di massa”.

La Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite documentò nel giugno 2024 “forti indizi che la Direttiva Hannibal è stata utilizzata in diverse circostanze il 7 ottobre”. Non sappiamo quanti israeliani furono uccisi dalle proprie forze quel giorno. Le stime variano. Ma sappiamo con certezza che accadde, su scala significativa, per ordine ufficiale.

Il documento giudiziario italiano non menziona nulla di tutto questo. Nemmeno una riga. Nemmeno una nota a piè di pagina. Cita Amnesty International per dire che “la stragrande maggioranza dei civili è stata uccisa da combattenti palestinesi”, ma omette che questa affermazione di Amnesty è fortemente contestata, che le stesse fonti israeliane la contraddicono, che Hamas invocò ripetutamente la Hannibal Directive come spiegazione e che aveva ragione.

Quando Hamas disse che molte vittime furono causate dal fuoco israeliano, il documento presenta questo come “Hamas smentisce Amnesty” e “fabbricazioni”. Ma erano le forze israeliane, non Hamas, a mentire su cosa accadde quel giorno.

Questa non è un’omissione casuale. È la rimozione deliberata del fatto centrale che cambia l’intera narrativa del 7 ottobre. Perché se una parte significativa delle vittime fu causata dalle stesse forze israeliane applicando una dottrina del “meglio morti che prigionieri”, allora il bilancio di quel giorno non può più essere usato come misura univoca della “barbarie di Hamas”. E l’intero castello di accuse costruito su quel bilancio crolla.

Il documento omette anche che il governo israeliano si è sempre opposto a qualsiasi inchiesta indipendente sui fatti del 7 ottobre, contrariamente ad Hamas, che ha sempre fatto richiesta che su quella giornata e i suoi avvenimenti potesse fare luce una commissione d’inchiesta internazionale indipendente.

Quando ISIS diventa Hamas: L’attacco di Sydney

A pagina 47, il documento compie un’altra manipolazione illuminante. Descrive l’attacco terroristico di Sydney del 14 dicembre 2025, in cui due attentatori aprirono il fuoco su una celebrazione di Hanukkah a Bondi Beach uccidendo 15 persone, e afferma che “HAMAS, pur non essendo coinvolta nell’attentato, lo ha giustificato quale diretta conseguenza della politica israeliana”.

C’è un dettaglio che il documento omette: l’attacco fu perpetrato dall’Islamic State (ISIS), non da Hamas o gruppi collegati. La Australian Federal Police lo dichiarò esplicitamente un attacco “ISIS-linked”. Il Primo Ministro australiano disse che gli attentatori erano ispirati da “Islamic State ideology”. Nell’auto furono trovate bandiere ISIS.

Hamas e ISIS sono nemici mortali. ISIS considera Hamas composto da “apostati” per la loro collaborazione con l’Iran sciita. Hamas ha combattuto ISIS a Gaza, dove è stato Israele, per sua stessa ammissione, a utilizzare bande dell’ISIS per i suoi interessi.

Il documento non dice esplicitamente “Hamas ha fatto l’attacco”, ma lo include in una sezione che deve dimostrare la pericolosità terroristica di Hamas, citando dichiarazioni di leader Hamas che analizzavano le cause dell’aumento dell’antisemitismo. Il trucco è sottile ma efficace: nel contesto di un atto d’accusa, l’associazione diventa imputazione.

E rivela il metodo: qualsiasi violenza, ovunque, se c’è un musulmano di mezzo, può essere associata a Hamas. ISIS, Al-Qaeda, talebani, Fratelli Musulmani, studenti bengalesi – sono tutti intercambiabili nella logica del documento. Musulmano = islamista = terrorista = Hamas.

Le elezioni che non dovevano esistere: il 2006 riscritto

Una delle riscritture storiche più significative riguarda le elezioni legislative palestinesi del 2006. Il documento le presenta così: Hamas partecipò con una “campagna incentrata sulla resistenza armata”, la partecipazione era “solo per legittimare il terrorismo”, ogni voto fu un voto per “distruggere Israele”.

La realtà storica è documentata da osservatori internazionali, sondaggi, analisi accademiche e testimonianze dirette – incluse quelle di funzionari israeliani e americani.

Hamas inizialmente non voleva partecipare a quelle elezioni. Quando decise di candidarsi, il suo obiettivo dichiarato era ottenere il 20-30% per fare opposizione. Il manifesto elettorale si chiamava “Change and Reform” – Cambiamento e Riforma. I temi centrali erano la lotta alla corruzione (il tema dominante), la riforma democratica, lo stato di diritto, la fine delle detenzioni arbitrarie, i servizi sociali efficienti.

Fatah governava da 40 anni ed era percepito come corrotto e inefficiente. Il processo di Oslo era considerato fallito. I palestinesi volevano cambiamento.

I sondaggi post-elettorali rivelarono dati sorprendenti: il 77% dei votanti di Hamas volevano che il nuovo governo negoziasse un accordo di pace con Israele. Il 73% dei palestinesi volevano che Hamas abbandonasse l’obiettivo di distruggere Israele. Solo il 3% supportava uno stato islamico. Il 75% votò Hamas come protesta contro la corruzione di Fatah.

I palestinesi non votarono per il jihad. Votarono per acqua corrente, elettricità, ospedali funzionanti, strade e polizia non corrotta.

Le elezioni furono monitorate e certificate come libere e giuste dal Carter Center (Jimmy Carter in persona), dall’Unione Europea, dal National Democratic Institute. Carter dichiarò: “Le elezioni furono oneste, giuste… Non c’è dubbio che la volontà del popolo palestinese si sia espressa”.

Ironicamente, furono gli Stati Uniti di George W. Bush a insistere per tenere quelle elezioni, contro il parere dei propri esperti che avvertirono che Hamas avrebbe potuto vincere.

Quando Hamas vinse, gli Stati Uniti e l’Unione Europea tagliarono immediatamente tutti i fondi. Israele bloccò il trasferimento delle entrate fiscali. Fatah rifiutò la coalizione. Gli USA implementarono un piano (rivelato da Vanity Fair) per armare Fatah e rovesciare Hamas con un colpo di stato. Nel giugno 2007, quando Fatah tentò il golpe, Hamas rispose con la forza e prese il controllo militare di Gaza. Iniziò il blocco che dura ancora oggi.

Il documento omette completamente questa sequenza. Presenta la vittoria elettorale come “inganno” e la guerra civile del 2007 come “Hamas elimina violentemente ogni altro gruppo”, ignorando che fu la risposta internazionale – boicottaggio, golpe, guerra economica – a radicalizzare la situazione.

Perché questa riscrittura? Perché riconoscere che Hamas vinse elezioni democratiche con un programma di buon governo, che i palestinesi votarono per ragioni pratiche non ideologiche, che la radicalizzazione seguì il boicottaggio occidentale – tutto questo renderebbe più complessa la narrativa “Hamas = terrorismo, sempre e comunque”. La storia va semplificata: Hamas partecipò alla politica “solo per terrorismo”. Il fatto che vinsero perché la gente voleva ospedali che funzionassero va cancellato.

“Dal fiume al mare”: lo slogan con origini dimenticate

Il documento dedica ampio spazio allo slogan “From the River to the Sea”, presentandolo come prova di intenti genocidari di Hamas e di chiunque lo usi. Secondo l’ordinanza, è uno slogan esclusivamente palestinese che significa “eliminazione fisica di Israele” e dell’intera popolazione ebraica.

Quello che il documento omette è che questo slogan ha origini sioniste.

Nel 1977, il partito Likud di Menachem Begin dichiarò nel suo manifesto fondativo: “Between the Sea and the Jordan there will only be Israeli sovereignty”. Non era retorica: era politica ufficiale del partito che avrebbe governato Israele per decenni.

Negli anni ’40, l’Irgun – l’organizzazione paramilitare sionista guidata dallo stesso Begin – cantava un inno che proclamava: “The Jordan has two banks; this one is ours, and the other one too”. Jabotinsky, ideologo del sionismo revisionista, parlava esplicitamente di uno stato ebraico “su entrambe le sponde del Giordano”, includendo quindi l’attuale Giordania.

Lo slogan fu adottato dai palestinesi dopo, come contrappunto.

Oggi lo slogan è polisemico – ha significati diversi per persone diverse: può significare uno stato palestinese al posto di Israele (interpretazione massimalista e minoritaria), uno stato binazionale democratico per israeliani e palestinesi con uguali diritti, la fine dell’occupazione di Cisgiordania e Gaza mantenendo Israele nei confini del 1967, o semplicemente il diritto all’autodeterminazione palestinese.

Il documento riconosce questa polisemia (cita manifestanti che lo usano “inconsapevolmente”) ma poi applica solo l’interpretazione più estrema, criminalizzando chiunque lo utilizzi.

Nel frattempo, slogan israeliani equivalenti o peggiori vengono completamente ignorati. “Grande Israele” (Eretz Israel HaShlema) appare regolarmente in mappe che cancellano la Palestina. Il Ministro delle Finanze israeliano Smotrich ha posato davanti a una mappa che include Giordania, con la scritta “Non esiste popolo palestinese”. Netanyahu nell’ottobre 2023 citò Amalek – il popolo che secondo la Bibbia Dio ordinò agli ebrei di sterminare completamente, uomini, donne, bambini, neonati, bestiame.

Il documento non menziona mai queste dichiarazioni israeliane, pur citando meticolosamente ogni dichiarazione estremista di Hamas.

Lo slogan “From the River to the Sea” viene criminalizzato quando pronunciato da palestinesi, normalizzato quando usato da sionisti, ignorato quando ancora più estremo da parte israeliana. Il doppio standard non è un errore: è il sistema.

La fabbrica delle prove: quando Israele diventa giudice e testimone

L’intera sezione sulla presunta “arena europea” di Hamas (pagine 48-61) si basa su un vizio metodologico che invaliderebbe qualsiasi processo in un sistema giudiziario credibile: tutte le prove provengono da una sola fonte – Israele – che è parte in causa con interesse diretto nell’esito.

Il documento cita ripetutamente “documenti sequestrati dall’Autorità di Israele”, “relazione dell’esperto israeliano” (anonimo), “intelligence israeliana”. Questi documenti non sono verificabili indipendentemente. Non hanno una catena di custodia tracciabile. Non sono stati sottoposti a esame della difesa. E provengono da uno stato che ha tutto l’interesse a dimostrare che qualsiasi organizzazione pro-Palestina è terroristica.

Sarebbe come in un processo per omicidio accettare come uniche prove le dichiarazioni dell’accusatore, senza autopsia indipendente, senza testimoni terzi, senza verifica forense, senza alcun controllo.

I precedenti di “intelligence” rivelatasi falsa abbondano. Le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein che giustificarono l’invasione dell’Iraq si rivelarono inesistenti. L’ospedale Al-Shifa a Gaza, che Israele presentò nel 2023 come “centro di comando di Hamas” con tanto di infografiche dettagliate, si rivelò essere… un ospedale. Le accuse israeliane contro 12 dipendenti UNRWA di essere membri di Hamas, che portarono al taglio di fondi internazionali, non sono mai state suffragate da prove credibili.

Ma il documento accetta acriticamente ogni “documento sequestrato” israeliano come vangelo. Decine di “documenti interni di Hamas” vengono citati come prove, senza mai porsi la domanda: come possiamo verificare che siano autentici? Chi garantisce che non siano stati alterati o fabbricati?

E anche se fossero autentici, il fatto che Hamas consideri un’organizzazione come alleata non significa che quell’organizzazione sia Hamas. Durante la Guerra Fredda, il KGB aveva documenti che elencavano giornalisti occidentali come “nostri contatti” – questo non li rendeva spie sovietiche.

Interpal: quando i tribunali dicono il contrario

Il caso di Interpal è emblematico di come il documento manipoli la realtà giudiziaria.

Il testo cita Interpal – un’organizzazione benefica britannica – come parte della “rete terroristica di Hamas”, basandosi su designazione USA/Israele. Ma omette completamente che questa designazione è stata ripetutamente smentita da tribunali e autorità indipendenti.

La UK Charity Commission – l’organo britannico che vigila sulle organizzazioni caritative – condusse tre investigazioni approfondite su Interpal (2003, 2009, 2012). Tutte e tre conclusero: “nessuna prova” di finanziamento al terrorismo. La Charity Commission dichiarò esplicitamente: “Le autorità USA non sono state in grado di fornire prove a supporto delle loro accuse”.

Nel 2010, l’High Court di Londra sentenziò che è diffamatorio affermare che Interpal supporta Hamas. Questa non è un’opinione: è una sentenza di un tribunale che ha esaminato le prove.

Nei quindici anni successivi, ogni grande media britannico che accusò Interpal di terrorismo fu costretto a ritrattare e pagare danni: Jerusalem Post (2006), Daily Express (2010, £60.000), Daily Mail (2018, £120.000), Jewish Chronicle (2019, £50.000). Oltre £200.000 di danni pagati per diffamazione.

Nel 2004, quando Israele chiese al governo britannico di Tony Blair di bannare Interpal, la risposta fu: “Mancano le evidenze e le basi legali”. Documenti governativi declassificati nel 2025 rivelano che funzionari britannici dissero agli israeliani: qualsiasi azione richiederebbe “prove adeguate che invia fondi a Hamas dopo che è stata messa al bando” – prove mai fornite.

Il documento italiano non menziona nulla di tutto questo. Cita solo le liste USA/Israele, ignorando tre assoluzioni, una sentenza dell’High Court, £200.000 di danni per diffamazione vinti, e il rifiuto del governo britannico di procedere per mancanza di prove.

Questa è falsificazione per omissione sistematica: si presenta la versione di una parte (USA/Israele) come “fatto”, si omette che tribunali indipendenti l’hanno ripetutamente smentita.

I doppi standard come sistema

Il documento è percorso da doppi standard così evidenti che sarebbe grottesco se non fosse tragico.

Sulle uccisioni di civili: Hamas uccide civili = terrorismo puro. Israele uccide 10 volte più civili (44,000+ palestinesi, 15,000+ bambini a Gaza dall’ottobre 2023) = mai menzionato. Nemmeno una riga in 300 pagine sul bilancio palestinese.

Sulla resistenza armata: Il documento riconosce en passant (pagine 34-35) che l’occupazione israeliana è “chiara violazione del diritto internazionale”. Ma poi afferma che qualsiasi resistenza a quell’occupazione illegale è uguale al terrorismo. Questo invalida il diritto internazionale che riconosce esplicitamente il diritto di resistenza a occupazione.

Sulle dichiarazioni estremiste: Ogni dichiarazione estremista di qualsiasi esponente Hamas viene meticolosamente documentata e citata come prova. Le dichiarazioni israeliane – Netanyahu che cita Amalek, Smotrich che nega l’esistenza del popolo palestinese, Ben-Gvir che afferma “la mia destra è più importante dei diritti degli arabi”, la ministra Shaked che nel 2014 disse che “le madri palestinesi dovrebbero essere uccise” – non vengono mai menzionate.

Sulle esecuzioni di collaboratori: Il documento criminalizza Hamas per aver giustiziato collaboratori israeliani a Gaza. Ma omette che Israele ha ucciso centinaia di presunti “collaboratori” palestinesi nel corso dei decenni, che lo Shin Bet usa “targeted killings” contro informatori, che questa è pratica comune in ogni conflitto (la Francia post-WWII giustiziò circa 10,000 collaboratori nazisti).

Sui servizi sociali: Hamas fornisce scuole, ospedali, assistenza = “proselitismo strumentale” criminale. Chiesa cattolica globalmente, ONG occidentali usano identico modello = legittimo. La differenza? Hamas è musulmano e palestinese.

Sulla violenza sessuale: Il documento presenta come certezza assoluta violenze sessuali di massa il 7 ottobre, citando Amnesty. Ma omette che lo stesso rapporto Amnesty non parla di certezza assoluta, che Human Rights Watch non è riuscita a raccogliere “informazioni verificabili attraverso interviste con sopravvissute/testimoni di stupro” (e non c’è riuscita neanche Amnesty), che molte testimonianze iniziali furono smentite, che la Commissione ONU non riuscì a verificare indipendentemente.

Nel frattempo, le violenze sessuali sistematiche documentate da B’Tselem e altre ONG contro donne palestinesi detenute da Israele non vengono mai menzionate.

Le conferenze che diventano complotti terroristici

Un pattern ricorrente è la criminalizzazione di attività completamente legittime in una democrazia.

Partecipare a conferenze della diaspora palestinese – come la Palestinian Conference in Europe a Malmö nel 2023 o le riunioni della Popular Conference of Palestinians Abroad – viene presentato come prova di appartenenza a rete terroristica.

Ma queste sono conferenze pubbliche. Se fossero riunioni di terroristi, la polizia svedese sarebbe intervenuta. Invece furono eventi aperti, con centinaia di partecipanti, copertura mediatica.

I curdi hanno simili conferenze, con legami documentati al PKK (designato terrorista da UE e Turchia). I tibetani si riuniscono regolarmente con legami al governo in esilio e al Dalai Lama. Nessuno viene arrestato per parteciparvi perché è diritto delle diaspore organizzarsi politicamente.

Ma quando palestinesi si riuniscono per discutere di diritto al ritorno, solidarietà, resistenza all’occupazione – attività politica legittima anche se controversa – il documento lo presenta come “prova” di cospirazione terroristica.

Allo stesso modo, il fatto che Infopal (sito di informazione definito dal documento “organo dell’ABSPP”) pubblichi interviste a leader di Hamas viene criminalizzato. Ma BBC, Al Jazeera, CNN, New York Times intervistano regolarmente leader di Hamas. Pubblicare un’intervista non è endorsement: è giornalismo.

Esprimere l’opinione che “Hamas non dovrebbe disarmarsi senza accordo politico” viene presentato come prova di terrorismo. Ma è un’opinione politica legittima, condivisa da molti analisti anche occidentali che ritengono che disarmare unilateralmente Hamas creerebbe instabilità e vuoto di potere.

Alessandro Orsini, professore universitario citato nel documento, disse: “Il problema non è il disarmo di Hamas ma il disarmo di Israele”. È un’opinione discutibile, provocatoria, ma è un’opinione – non un reato.

La Holy Land Foundation: l’omissione del dissenso

Il documento cita la condanna della Holy Land Foundation negli Stati Uniti (2008) come “conferma” che il modello “charity pro-Palestina = fronte terroristico” è valido.

Ma omette fatti cruciali. Il primo processo (2007) finì con una giuria incapace di raggiungere un verdetto. Questo è estremamente significativo: nemmeno con gli standard probatori USA (più bassi che in Europa), le prove convinsero tutti i giurati.

Il secondo processo portò a condanne, ma fu altamente controverso. ACLU denunciò l’uso di “testimoni anonimi” e “prove segrete” israeliane. Esperti di diritti civili criticarono il processo come politicizzato, parte della retorica post-11 settembre che equiparava aiuto umanitario a terrorismo.

Le condanne si basarono sulla legge del “supporto materiale al terrorismo” – così ampia che criminalizza qualsiasi supporto (incluso aiuto umanitario legittimo) a organizzazioni designate. Fornire coperte a rifugiati in un campo gestito da entità designata può essere “supporto materiale”.

L’ONU e organizzazioni per diritti umani hanno criticato questa legge perché criminalizza gli aiuti umanitari. Ma il documento la cita come se fosse prova universale che charities pro-Palestina = terrorismo, ignorando che sentenze USA non sono precedenti vincolanti per l’Italia e che il contesto giuridico è completamente diverso.

La logica dell’infalsificabilità

Uno dei vizi più profondi del documento è la costruzione di una logica infalsificabile.

Quando Hamas fa dichiarazioni estreme = prova di terrorismo. Quando Hamas fa dichiarazioni moderate = tattica ingannevole, quindi prova di terrorismo. Quando Hamas partecipa alla politica = per infiltrare e sovvertire, quindi terrorismo. Quando Hamas fornisce servizi sociali = per proselitismo e reclutamento, quindi terrorismo. Quando Hamas vince elezioni democratiche = per legittimare terrorismo, quindi terrorismo.

Non c’è nulla che Hamas possa fare o dire che non venga interpretato come conferma della tesi. Ogni azione conferma, nessuna può smentire. Questo è il contrario del metodo scientifico e giuridico: una tesi infalsificabile non è una tesi dimostrata, è un dogma.

La stessa logica viene applicata a chiunque supporti la causa palestinese. Se doni soldi per ospedali = finanzi terrorismo. Se partecipi a conferenze = complotti terroristici. Se pubblichi interviste = propaganda terroristica. Se esprimi opinioni critiche verso Israele = sostegno a terrorismo.

Questa logica trasforma milioni di persone – che supportano i diritti palestinesi, criticano l’occupazione, donano a charities, partecipano a manifestazioni – in potenziali terroristi. Non è giustizia: è criminalizzazione del dissenso.

Orientalismo giudiziario

Pervade l’intero documento un orientalismo che non è sottotesto ma metodo esplicito.

La terminologia islamica viene presentata come intrinsecamente sinistra: “Shura” (consultazione) = prova di fondamentalismo, anche se è semplicemente la parola araba per “consiglio consultivo”. Democrazie occidentali usano termini religiosi ovunque (Senato = consiglio anziani, Parlamento = parlare, etimologie cristiane abbondano) ma nessuno le considera teocrazie.

“Zakat” (elemosina islamica) e “Hafiz” (memorizzatore del Corano) vengono citati come se fossero attività sovversive, quando sono pratiche religiose normali quanto un prete che chiede offerte o un rabbino che insegna Torah.

L’equazione studente musulmano = talebano, Hamas = ISIS = Al-Qaeda = Fratelli Musulmani = qualsiasi movimento islamico rivela la logica: per il documento, tutte le distinzioni interne all’Islam politico sono irrilevanti. Sono tutti intercambiabili, tutti jihadisti, tutti terroristi.

Questo orientalismo non è un errore culturale: è funzionale all’obiettivo di criminalizzare qualsiasi forma di attivismo musulmano pro-Palestina. Se ogni musulmano che si organizza politicamente è potenzialmente un terrorista, allora la sorveglianza totale è giustificata, la criminalizzazione preventiva è necessaria, i diritti possono essere sospesi.

Conclusione: Oltre le 300 pagine

Abbiamo analizzato solo le prime sessanta pagine di un documento di oltre 300. In queste prime sessanta pagine abbiamo documentato:

  • Una falsificazione storica clamorosa (Bangladesh)
  • Un’omissione gravissima che cambia l’intera narrativa del 7 ottobre (Hannibal Directive)
  • Un’attribuzione falsa di un attacco ISIS a Hamas (Sydney)
  • Una riscrittura completa delle elezioni 2006
  • L’omissione delle origini sioniste di uno slogan presentato come genocidario palestinese
  • L’accettazione acritica di “prove” fornite dalla parte in causa (Israele)
  • L’omissione sistematica di assoluzioni giudiziarie (Interpal)
  • L’omissione di controversie processuali (Holy Land Foundation)
  • Doppi standard applicati a ogni singola questione
  • Criminalizzazione di attività politiche legittime
  • Costruzione di logica infalsificabile
  • Orientalismo come metodo

Se questa è la qualità delle prime sessanta pagine, cosa possiamo aspettarci dalle altre 240?

Ma il problema va oltre questo specifico documento. Questo non è un caso isolato di cattiva giustizia: è parte di un pattern europeo di criminalizzazione della solidarietà palestinese sotto il pretesto della lotta al terrorismo. Quando la Francia arresta attivisti per “apologia del terrorismo” perché hanno manifestato per Gaza. Quando la Germania vieta conferenze palestinesi. Quando il Regno Unito banna Hamas nella sua interezza (2021) sotto pressione politica. Quando l’Italia arresta Hannoun o prova a espellere Mohamed Shahin.

Questo documento non è solo un’ordinanza giudiziaria difettosa. È un sintomo di come la “guerra al terrorismo” si sia trasformata in guerra alla solidarietà, di come l’antiterrorismo sia diventato strumento per silenziare il dissenso, di come la giustizia possa essere piegata a servire agende politiche.

Quando studenti bengalesi che rovesciano dittature diventano talebani, quando vittime di fuoco amico scompaiono dai documenti, quando attacchi ISIS vengono attribuiti a Hamas, quando partecipare a conferenze diventa cospirazione terroristica, quando aiutare rifugiati diventa crimine, non siamo più nell’ambito della giustizia.

Siamo nell’ambito della propaganda vestita da diritto, del potere che si maschera da verità, della repressione che si spaccia per protezione.

E questo dovrebbe preoccupare non solo chi ha a cuore la causa palestinese, ma chiunque abbia a cuore la democrazia, lo stato di diritto, e il diritto a dissentire senza finire in carcere.

CREDITI FOTO: Gianfranco Candida – Milano in Movimento


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