“Dall’altra parte di questo stesso mare c’è Gaza: siamo a Gaza!”. Adania Shibli sorride guardando l’acqua incresparsi e riflettere le luci della sera, sul porto di Napoli. In una sola frase, poco prima di accomiatarci, è riuscita a trasportare tutti i presenti dall’altra parte del mare, nella sua terra lontana e proibita.

Momenti della conversazione fra Adania Shibli e Igiaba Scego a Napoli, 13 febbraio 2025

Napoli, e poi Salerno, l’hanno ospitata per due giornate di incontri e presentazioni, insieme a Maria Rosaria Greco e Monica Ruocco; da anni, con la rassegna Femminile Palestinese guidata da Greco, e attraverso il lavoro di docenza di Lingua e letteratura araba di Ruocco all’Università Orientale di Napoli, le due donne animano riflessioni, incontri, dibattiti e momenti di letteratura che permettono di dare voce alla letteratura “balbuziente” dei palestinesi, come dice Shibli. Una letteratura che non può essere lineare, che non vuole essere lineare, anche se è capace di esserlo, è capace di imitare le linee dritte, assertive e imperiose del potere. Ma si fa altro. Si fa percorsi tortuosi, linguisticamente accidentati, frammentati in mille checkpoint del pensiero in tutto simili a quelli che l’esercito ha imposto in Cisgiordiania, spezzettati in zone A, B, C, D, come le imposizioni dell’occupazione, come storie che non possono che comporsi di “dettagli minori”, attraverso i quali ricostruire, ricostruirsi, tracciare mappe della memoria, perdersi in vicoli ciechi d’ansia e lungo muri invalicabili.

“Un dettaglio minore”, pubblicato in Italia da La nave di Teseo nella traduzione proprio di Monica Ruocco, a fine ottobre 2023 avrebbe dovuto ricevere il prestigioso premio LiBeraturpreis alla Fiera del libro di Francoforte. In seguito all’attacco del 7 ottobre 2023, la Fiera ha sospeso il conferimento del premio alla scrittrice, annunciando in un comunicato che in quella edizione avrebbero dato particolare risalto alle voci ebraiche. Cancellando quelle palestinesi, solo perché palestinesi? A quanto pare sì. Fu solo uno dei primissimi episodi di una infinita serie che, da allora, ha portato la Germania verso una involuzione autoritaria e antidemocratica inquietante, fino a misure esplicitamente razziste di stampo etnicista, per esempio vietare l’uso di una serie di lingue durante le manifestazioni, in primis la lingua araba.

“Un dettaglio minore” è la storia di un episodio avvenuto durante la guerra cosiddetta arabo-israeliana, la guerra di fondazione dello Stato di Israele nel territorio palestinese, nel 1949. Un episodio di stupro in un contesto di colonizzazione, che ricorda molto da vicino, quasi rievoca, involontariamente, “Tempo di uccidere” di Ennio Flaiano, come ha ricordato la scrittrice italiana Igiaba Scego, presentando Shibli. Un episodio che diventa oggetto di indagine, qualche decennio dopo, da parte di una ricercatrice, che decide di avventurarsi nell’ostile mondo dell’occupazione israeliana per provare a indagarlo, e si ritroverà a percorrere lo stesso, identico mondo della giovane vittima di quel crimine, nel 1949, popolato degli stessi incubi e minacce, della stessa violenza. È un libro interamente costruito sui dettagli, dilatati all’inverosimile, con una lingua precisa come un microscopio, una lingua che situa la memoria di un popolo nelle esperienze di costrizione, nei sentimenti di paura, nell’ansia e nelle pratiche di ricerca e resistenza dei suoi abitanti. Nel video in cui troverete alcuni passaggi di riflessione della serata del 13 febbraio, Adania Shibli racconta cosa significhi questa paziente ricostruzione di memoria per frammenti, per negazioni, per accessi vietati, deviazioni della strada. Questo balbettare parole che in alcuni momenti, come dopo l’attacco israeliano genocida degli ultimi sedici mesi, smettono proprio di scorrere, si interrompono. Un lungo silenzio, ha raccontato agli astanti, una afonia insuperabile si è impadronita di tanti scrittori palestinesi dopo il 7 ottobre 2023 e ciò che ne è seguito. I progetti collettivi che li univano fra loro, persone che vivono ai quattro angoli del mondo, si sono interrotti perché le parole gli si sono spezzate in gola. finché uno di loro, proprio da Gaza, dal cuore stesso dell’orrore, non ha avuto il coraggio di dire a tutti “riprendo a scrivere perché non voglio diventare un mostro”. Scrivere per rimanere umani, scrivere insieme, collettivamente, parlarsi fra scrittori come hanno fatto gli autori e le autrici che insieme a Shibli partecipano della rivista di Gaza “28 magazine”, dal numero delle lettere dell’alfabeto arabo. Parlarsi e a volte trovarsi solo per piangere insieme; per non sentirsi sopraffatti e soli, come sole sono le protagoniste della poetica di Shibli. Parlare per balbettare insieme, e ritrovare faticosamente le parole cominciando dalle condizioni di più profonda vulnerabilità, da quella Gaza in macerie dove c’è tutto da ricostruire, ma dove lo stesso concetto di ricostruzione, ha spiegato Shibli, ha bisogno prima di tutto di soffermarsi a riflettere, a chiedersi che cosa sia andato veramente distrutto. Indispensabile per non lasciare il passo a pensieri come quelli di Trump, con la sua macabra idea di bellezza della ricostruzione. Per affrontare il trauma, l’ennesimo trauma, che tesse fili come ragnatele, fra una generazione e l’altra di palestinesi, fra una generazione e l’altra di donne, attraverso le violenze subite e poi sentite, ricordate tramite la memoria dei popoli, secolare resistenza, come gli olivi di quei villaggi rasi al suolo, delle mappe cancellate, che pure sono lì, in tutti i dettagli minori nel tempo posati.

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