Il dibattito di presentazione del report di Amnesty International “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza” a Venezia, che la comunità ebraica aveva cercato di impedire, infine si terrà nel giorno in cui era previsto, nell’Aula Magna “Guido Cazzavillan” dell’Università Ca’ Foscari. Lo conferma a Kritica Tina Marinari, coordinatrice delle campagne sociali di Amnesty Italia. Sarà proprio lei a presentarlo, insieme Vito Todeschini, esperto di diritto del Segretariato internazionale di Amnesty, e a una rappresentanza del gruppo Amnesty Veneto.
Il vivo rammarico della comunità ebraica veneziana
“La cittadinanza di Venezia si è mobilitata con noi, attraverso una rete di docenti universitari, associazioni come Assopace Palestina, vari collettivi. Siamo incredibilmente contenti per questa risposta della società civile, che non ha voluto accettare l’idea che ci avessero messo un bavaglio”. Occasione persa, invece, per Ateneo Veneto, il prestigioso istituto culturale che avrebbe dovuto ospitare l’incontro, e che si è tirato indietro dopo le veementi proteste della comunità ebraica locale, in particolare dopo la lettera indirizzata dal responsabile Dario Calimani ad Antonella Magaraggia, presidente di Ateneo Veneto, in cui si esprimeva “vivo rammarico” per la scelta di ospitare Amnesty; in ragione, in particolare, della esplicita denuncia di genocidio contenuta nel rapporto redatto dall’organizzazione. Denuncia stigmatizzata, si legge su Pagine Ebraiche, come “propaganda demagogica di tipo terzomondista con un linguaggio che è quello della tifoseria, senza preoccuparsi di proporre uno sguardo storico complessivo a una tragedia che coinvolge tutti gli attori sulla scena”. Calimani, nella sua lettera, accusa infine Amnesty International di aver “sempre tenuto una posizione ben precisa, e da quella posizione continua a ergersi per fomentare altro odio con un linguaggio che non è certo quello dei fautori di giustizia e di pace”. Spiega Tina Marinari: “Nei giorni scorsi, i responsabili di Ateneo Veneto ci avevano comunicato di temere per eventuali problemi di sicurezza, tanto che avevano anche allertato la Digos e ci avevano dato una serie di indicazioni riguardo al numero di presenze e alla gestione dell’evento: ma niente lasciava presagire che volessero tirarsi indietro, finché non è arrivata la lettera della Comunità, ieri mattina (il 7 gennaio, ndr). Ovviamente, annullare un evento meno di 48 ore prima ci ha messi in grande difficoltà, ma abbiamo potuto godere di una vasta rete di aiuti e oggi siamo in condizione di tenere un dibattito ampio e partecipato, in una prestigiosa sala pubblica”. Per Amnesty non si tratta della prima volta che un evento in cui si discute la situazione dei diritti umani in Palestina e nel territorio di Israele viene annullato all’improvviso. “Successe già due anni fa, quando presentammo il nostro rapporto sull’apartheid israeliano. In quel caso fu anche peggio, perché l’Università La Sapienza, senza fornirci alcuna spiegazione precisa, cancellò l’iniziativa la sera appena precedente. Per fortuna era il mese di maggio, e utilizzammo i giardini pubblici per tenere in ogni caso l’incontro”.
Questa volta sono state le associazioni di Venezia a prendere in mano la situazione e a risolvere il problema arrecato dalla cancellazione dell’incontro. “È una dimostrazione che la società ha voglia di di parlare, ha bisogno di di capire che cosa sta succedendo e di discuterne. E quello che a noi interessa è semplicemente poter raccontare il nostro rapporto, i risultati delle nostre ricerche.
Chi ha paura di dire “genocidio”?
La lettera del responsabile della Comunità ebraica suggerisce che è proprio questo il problema: il lavoro di Amnesty sarebbe segnato dalla volontà di “fomentare altro odio”. “A fare paura è il fatto che usiamo il termine genocidio. La parola genocidio chiaramente fa paura, specie perché ricorda altre tragedie del passato. Ma se c’è un rapporto di oltre trecento pagine che spiega come siamo arrivati alla conclusione che siamo di fronte a un genocidio, penso sia evidente che non è certo un termine che stiamo adoperando con leggerezza. La cornice in cui ci muoviamo è quella del diritto internazionale, delle convenzioni internazionali che definiscono scrupolosamente dettagli e termini. Non stiamo parlando di una opinione, ma di un lavoro di ricerca accurato, che ha coinvolto un intero team di esperti, i quali sulla base del diritto hanno concluso che è in corso un crimine di genocidio, e che in quanto tale questo crimine va perseguito a livello internazionale”.
Ma Calimani lo bolla come “linguaggio da tifoseria”. “È un’accusa che non regge di fronte a un’analisi che si muove interamente nella cornice giuridica. Per porre fine all’impunità dei crimini commessi da Israele è questo che bisogna fare, fornire prove giuridiche che quelli commessi sono, per l’appunto, crimini, e come tali vanno fermati. In questi mesi – prosegue Marinari – abbiamo visto continui attacchi indiscriminati contro la popolazione civile, abbiamo visto l’affamamento, la distruzione totale delle abitazioni, ma anche dei luoghi di cultura, delle chiese, delle moschee, delle scuole a Gaza, senza nessuna distinzione fra obiettivi civili e militari. Oltre all’uso di un linguaggio disumanizzante da parte dei rappresentanti del governo israeliano, ai video dei soldati che festeggiano la distruzione di scuole o moschee, che posizionano bombe dentro i cimiteri. Atti che non si possono né negare né nascondere, e il nostro compito è proprio quello di raccogliere questa mole di prove e provare a porre fine a tutta l’impunità che in questi Territori ormai dura da troppo, troppo tempo”.
È tristemente significativo che la Comunità ebraica abbia preferito, di fronte a un simile documento certo non paragonabile a un volantino o a un comunicato stampa, esprimere rammarico per la possibilità di discutere attorno a queste evidenze; che abbia escluso a priori la possibilità di contestarle entrando nel merito, partecipando al dibattito e collocandosi sullo stesso piano di quella società civile richiamata da Marinari. “Tutti i nostri incontri sono pubblici, e siamo sempre con disponibili al confronto, anche con i massimi vertici istituzionali. Tanto è così che prima della pubblicazione, com’è nostro costume, abbiamo condiviso il rapporto anche con le autorità israeliane, che però non hanno mai risposto. Lo abbiamo condiviso con le ambasciate israeliane, compreso quella in Italia, che però non ha mai risposto. Non abbiamo paura del confronto proprio perché le nostre ricerche sono accurate e verificate”.
Accuse reiterate, fra propaganda e ricerca
Eppure non è certo la prima volta che Amnesty viene accusata di essere un’agente di mera propaganda. Quando ad agosto del 2022 uscì un rapporto che evidenziava come alcune tattiche adoperate dall’esercito ucraino mettessero a rischio i civili, scoppiò un putiferio internazionale che portò alle dimissioni della responsabile dell’associazione in Ucraina, Oksana Pokalchuk e alla pubblicazione di una lettera di spiegazioni della responsabile Agnès Callamard. Tanti accusarono Amnesty di essere al soldo di Putin, sebbene siano innumerevoli i rapporti e i documenti redatti dall’associazione che evidenziano i crimini commessi dal regime putiniano, e sebbene il regime abbia chiuso gli uffici di Amnesty accusando l’ONG, come fatto con decine di altre sigle, di essere “agente straniero”. Mantenere indipendenza anche dalle pressioni effettuate dai governi è complicato, specialmente per le sezioni locali. “Questa è la ragione per cui i nostri rapporti vengono redatti da esperti indipendenti internazionali; le sezioni locali vengono consultate, ma è il fatto che siano redatte da un panel di giuristi internazionali che garantisce l’indipendenza delle nostre valutazioni”, spiega Marinari.
I tormenti in Amnesty Israele
Quando il rapporto sul genocidio è stato condiviso con la sezione locale in Israele, l’associazione è andata in subbuglio e ha reagito ribellandosi alle conclusioni proposte. Una settimana prima che il rapporto divenisse infine pubblico, il responsabile della sezione israeliana, Daniil Brodsky, si è dimesso, non in protesta nei confronti del rapporto, bensì in protesta contro la sezione Israele. Brodsky ha spiegato le sue ragioni con la sistematica esclusione delle voci palestinesi dalla vita dell’associazione, tanto da far sì che questa riflettesse “poco più che una visione del mondo israelo-ebraica”, testimoniata, a suo dire, anche dalla reazione della maggioranza della sessione al rapporto sul genocidio. “La posizione di Amnesty Israele sul rapporto è stata redatta da due membri del personale ebreo israeliano che non sono studiosi di diritto, con l’assistenza esterna di esperti legali israeliani. Ciò che ad Amnesty Israele mancava in termini di competenza legale, avremmo potuto offrirlo con un’analisi che fosse ricca di diversità di prospettive, avendo a disposizione componenti dello staff e del consiglio di amministrazione palestinesi che avrebbero potuto lavorare con ebrei israeliani per scrivere su questo tema e contribuire a una prospettiva che sarebbe stata difficile da replicare per gli esperti esterni. Invece, nessun palestinese ha contribuito all’analisi di Amnesty Israele del rapporto sul genocidio”, si legge nella sua lettera. Con Brodsky, all’indomani della pubblicazione del rapporto si sono dimessi anche altri soci. Amnesty International ha infine deciso di sospendere la sua sezione israeliana, rilevando la presenza di atteggiamenti discriminatori nei confronti delle voci palestinesi al suo interno. “In dieci anni di impegno con Amnesty, non era mai successa una cosa simile”, nonostante siano tante le sezioni che si confrontano con conflitti e fratture anche interne alla società civile. Ma nessuna frattura, nessuna lacerazione sociale nel tempo presente è paragonabile alla ferita impressa dal suprematismo israeliano sulla vita del popolo palestinese; un atteggiamento così normalizzato presso gli israeliani, da manifestarsi persino quando si tratta di difendere insieme i diritti umani.

Giornalista, fondatrice di Kritica.it. Puoi leggere suoi articoli e saggi su MicroMega, Gli Stati Generali, Africa ExPress. Ha vinto diversi premi fra cui il Premio Luchetta – Stampa italiana nel 2022.