Su quanto sta avvenendo in Siria è difficile districarsi fra notizie attendibili e varie forme di disinformazione e propaganda, con la conseguenza che formarsi un’opinione è impresa molto faticosa. Un esempio: dopo giorni di scontri violentissimi nelle zone dove è molto presente la minoranza alawita (la setta sciita cui appartiene anche il clan Assad), seguiti ad una serie di attacchi contro le forze governative, le cifre sulle vittime del conflitto differiscono in maniera sostanziale. Secondo la maggioranza delle fonti di informazione siriane ed internazionali, i morti sarebbero un migliaio, di cui circa 140 fra le forze di di sicurezza di Damasco, un numero simile fra i combattenti fedeli al deposto regime assadista e il resto civili alawiti, vittime delle rappresaglie condotte non tanto dai miliziani governativi, quanto da gruppi islamisti giunti a sostegno, fra i quali sono stati segnalati anche elementi stranieri. Al contempo, per bocca di un europarlamentare greco in visita a Damasco, la chiesa greco-ortodossa afferma che le vittime siano oltre 7.000 e che questo numero comprenda molti cristiani, tanto da far lanciare all’europarlamentare Nikolas Farantouris, eletto nella lista di Syriza, un appello al governo di Atene e a quelli dei Paesi UE ad intervenire ed a smettere di mostrare tolleranza con il regime islamico mentre migliaia di civili vengono massacrati.

Per la verità, delle affermazioni del patriarca greco-ortodosso Giovanni X, riportate dall’europarlamentare di Syriza, hanno dato notizia solo alcuni organi di informazione greci e i canali dei gruppi nazifascisti europei, da sempre sostenitori del regime del clan Assad.
Le agenzie internazionali e le più accreditate reti di analisi dei dati sui diritti umani non le hanno prese sul serio, a causa della storica vicinanza, anzi, complicità del patriarcato greco-ortodosso siriano con la dittatura degli Assad, complicità manifestata e propagandata negli anni da suor Agnès Mariam De La Croix, meglio nota come “la monaca di Assad”. A conferma di questo, anche le dichiarazioni del vescovo Jallouf, Vicario Apostolico di Aleppo, il quale non solo non conferma le affermazioni del patriarca greco-ortodosso, ma ribadisce la collaborazione fra i cristiani e le nuove autorità di Damasco, concludendo la sua intervista a Vatican News con l’auspicio che “la comunità internazionale sappia dare il suo contributo alla costruzione della pace in Siria”.

Resta il fatto che la situazione in Siria è lontanissima da una stabilizzazione, e non potrebbe essere diversamente, dopo oltre mezzo secolo di dittatura e più di un decennio di sterminio vero e proprio. Immaginare un Paese improvvisamente pacificato e normalizzato è una pia illusione da anime belle, nel momento in cui si continuano a scoprire fosse comuni, sono emersi agli occhi del mondo gli orrori dei lager come Sednaya, decine di migliaia di uomini e donne mancano all’appello e ancora a milioni sono sfollati. La Siria è un Paese distrutto, il regime di Assad ha lasciato dietro di sé solo lutti, macerie e una scia di odio che farà sentire i suoi effetti ancora a lungo.

In questo contesto difficilissimo, va segnalata quella che potrebbe essere una vera svolta positiva: l’accordo sottoscritto fra le autorità di Damasco e quelle dell’amministrazione autonoma del nord est, l’ampia zona controllata da anni dalle milizie curde sostenute dagli U.S.A. Si tratta di un accordo importantissimo, non solo perché va a ricomporre una frattura territoriale di grande entità, ma perché sancisce alcuni principi che – se troveranno piena attuazione – possono costituire un modello di impianto valido per tutto il Paese. Oltre a prevedere lo scioglimento delle formazioni militari curdo-siriane (Syrian Democratic Forces) e la loro integrazione nel nuovo esercito nazionale siriano, l’accordo definisce alcuni punti fondamentali:

  1. Garantire i diritti di tutti i siriani alla rappresentanza e alla partecipazione al processo politico e a tutte le istituzioni statali in base al merito, indipendentemente dal loro background religioso ed etnico.
  2. Riconoscere la comunità curda come una società indigena nello stato siriano, con lo stato che garantisce il loro diritto alla cittadinanza e tutti i diritti costituzionali.
  3. Implementare un cessate il fuoco in tutti i territori siriani.
  4. Integrare tutte le istituzioni civili e militari nella Siria nord-orientale nell’amministrazione statale siriana, compresi i valichi di frontiera, gli aeroporti e i giacimenti di petrolio e gas.
  5. Garantire il ritorno di tutti i siriani sfollati nelle loro città e nei loro villaggi, garantendo al contempo la loro sicurezza e protezione da parte dello stato siriano.
  6. Sostenere lo Stato siriano nei suoi sforzi per combattere il terrorismo delle forze di Assad e affrontare tutte le minacce che mettono a repentaglio la sua sicurezza e unità.
  7. Rifiutare le richieste di divisione, i discorsi d’odio e i tentativi di incitare la discordia tra tutte le componenti della società siriana.
  8. I comitati esecutivi lavoreranno e si impegneranno per attuare l’accordo entro e non oltre la fine dell’anno in corso.

L’accordo è stato salutato da grandi manifestazioni a Raqqa – la “capitale” del nord est – ed in altre città siriane, scatenando, invece, la reazione rabbiosa di Israele, che punta molto sulla frammentazione della Siria e che si è “vendicato” lanciando violenti bombardamenti sul territorio meridionale siriano, che in parte sta occupando militarmente. Netanyahu sta anche cercando di sobillare i Drusi siriani contro il governo centrale, offrendo loro “protezione”, ma non sembra stia ottenendo grandi risultati: il governo è in trattativa anche con le milizie della provincia di Suwayda, allo scopo di arrivare a un accordo di integrazione sulla scorta di quello firmato con le SDF.

Il governo provvisorio opera comunque in condizioni proibitive, ma appare pienamente consapevole di dover agire per una riconciliazione nazionale, perché solo una Siria unita può trovare la forza per uscire definitivamente dal tunnel degli orrori dove l’ha cacciata la lunghissima notte assadista. Perseguire senza tregua i criminali, gli assassini e i torturatori del vecchio regime è giusto e un atto dovuto verso le vittime e le loro famiglie, ma questo non deve degenerare in una faida indiscriminata e senza fine. So benissimo che è molto più facile dirlo che farlo, ma non c’è alternativa, e sarebbe importante se il processo di ricostruzione della Siria come paese libero, democratico e civile fosse sostenuto dalle società civili europee, che troppo a lungo hanno distolto il proprio sguardo. È arrivato il momento di mostrare pienamente solidarietà al popolo siriano, di aiutarlo a fare giustizia, per esempio perseguendo anche nei tribunali europei i criminali del vecchio regime, ma soprattutto è il momento di attivare progetti di cooperazione e sostegno reali. Sostenere l’evoluzione democratica di una nuova Siria è una sfida che non richiede buoni consigli e belle parole, ma azioni concrete, tanto dalla parte dei governi, quanto da quella della
società civile.

CREDITI FOTO: Steve Eason, Flickr. 13° anniversario della rivoluzione siriana, protesta a Downing Street, Londra, 16 marzo 2024. Licenza CC BY-NC 2.0.

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