Questo articolo è stato pubblicato originariamente il 30 dicembre 2018 su un blog che l’autrice curava all’epoca, con il titolo “Salvini ti mangia in faccia per disgustarti e non farti più ragionare”. Lo riproponiamo, con un titolo appena modificato per adattarlo al tempo presente, perché riteniamo tuttora molto validi e applicabili all’oggi i ragionamenti contenuti all’interno. La comunicazione di Trump nel 2025 si basa infatti sugli stessi principi di cui si parlava qui, quando imperversano le immagini di Matteo Salvini che si abbuffava di cibo scadente, come qualcuno, fra chi ci legge, ricorderà.
C’è chi è convinto che lo faccia perché vuole farsi passare come uno del popolo che mangia il cibo del popolo. Chi è indignato perché crede che stia facendo pubblicità occulta. Chi si chiede se non ci sia un backstage dove gli servono ostriche e foie gras. Da qualche mese, Salvini e la sua dieta alimentare tengono in pensiero l’opposizione (ben più che i fan): il ministro, infatti, pubblica spesso sui social i piatti che è in procinto di mangiare, o foto di se stesso nell’atto di addentare un dolce o un panino. Il 26 dicembre scorso è stato pane e Nutella a far scervellare mezza Italia sul perché. Ma prima della colazione dei campioni, aveva già fatto scalpore una pasta al ragù Star accompagnata con Barolo. Anche in quell’occasione non sono mancate le reazioni nauseate e gli accenni di esegesi feuerbachiana: se “l’uomo è ciò che mangia”, che uomo è uno che condisce i bucatini col ragù Star e innaffia una schifezza con ottimo Barolo? In molti si sono applicati come di fronte a un rebus della Settimana Enigmistica: un piatto cheap, ok, come il popolo, e allora il Barolo? Cosa sta a significare? Pochi solutori in quel caso, presi dal significato simbolico del menu, hanno fatto caso al coperto: il piatto e la forchetta, pieni di schizzi di sugo. Troppo zozzi per essere finiti lì per caso. Dunque perché quella sciatteria? L’immagine di quegli schizzi da piatto sporco produceva immediatamente una sensazione di disgusto. Così come, nella foto del pane e Nutella pubblicata qualche settimana dopo, non sono tanto il pane o la Nutella a dar fastidio, quanto l’espressione totalmente priva di grazia di Salvini nell’atto di mangiare, che appare di nuovo, letteralmente, nauseante. Un po’ troppo nauseante, per non essere un effetto voluto, ricercato, ben preciso, e quindi dotato di un suo scopo più grande. Quello scopo è parlare alla pancia dei follower, per disgustarli. E non in senso figurato: in senso letterale.
E perché mai Salvini, che è così amato dai suoi fan, dovrebbe rivolgere loro post nauseabondi? La spiegazione più convincente è che non sia alla pancia dei fan, che il Ministro si rivolge sui social con questi post; bensì, alla pancia dei suoi detrattori. Che difatti rappresentano una fetta ampia, molto ampia, di coloro che condividono questo genere di post (specie considerando che un’altra ampia fetta dei “condivisori automatici” dei post di Salvini è composta da profili falsi).
Circa 10 anni fa, il saggio dello psicologo Drew Westen “La mente politica” (così tradotto nella versione pubblicata in italiano da Il Saggiatore a firma di M. Ceschi) spiegava quanto la politica sia sempre stata il “marketplace delle emozioni”, ben più e ben prima che quello delle idee, e dimostrava come le scelte degli elettori si orientino molto sulla base delle emozioni che si formano nella loro mente, più che sulle argomentazioni razionali. Vince chi emoziona e chi è in grado di indirizzare meglio le emozioni verso il cammino che maggiormente gli interessa. A tenere banco nella campagna elettorale ultima, in Italia, è stata evidentemente la rabbia: contro gli immigrati, contro l’Europa, contro il PD. Sia la Lega, sia il Movimento 5 stelle hanno impostato sulla rabbia (e sul sentimento dell’odio) una fetta importante del loro messaggio. Ma alimentare emozioni non è solo una strategia di acquisizione del potere. È anche una strategia, in gran parte obbligata, di conservazione del potere ottenuto. Un potere che proprio perché forgiato sulle emozioni, è sottomesso a volatilità e volubilità di gran lunga superiori. Le emozioni sono intense, ma di breve durata. Possono condizionare moltissimo le nostre scelte e la nostra vita, precedendo e spesso contraddicendo la ragione, ma affinché sia così è necessario un meccanismo che le ingeneri di continuo. Ecco perché Salvini, ma lo stesso si potrebbe dire di Trump, attizzano continuamente la rabbia dei seguaci contro i bersagli prescelti. Ma ecco anche perché, dall’altra parte, provano a causare costante irritazione nei loro detrattori. La rabbia – o il disgusto – che intendono suscitare è anche nei propri confronti: perché sanno che se è su quel piano, che si mantiene l’opposizione, per citare il Ministro stesso “governeremo altri 20 anni”. La loro strategia è così efficace, e così incontrastata finora, che si possono persino permettere di svelarla alle vittime.
Dichiarare il proprio disgusto per un piatto di pasta zozzona o una colazione esibita in barba agli impegni istituzionali posiziona infatti la comunicazione proprio a livello del terreno sul quale “la Bestia” vuole portare gli avversari: quello di pancia, che precede le idee, cade nella provocazione e conferisce più potere a chi ha provocato, tenendolo al centro dell’attenzione in modo inoffensivo. Se la mattina del 26 dicembre Salvini non avesse postato pane e Nutella, forse su Repubblica.it all’indomani di un assassinio ‘ndranghetista a Pesaro si sarebbe parlato con profitto e interesse di mafia, antimafia e dell’inadeguatezza di un Ministro nel suo ruolo, piuttosto che di “polemica social su Salvini” per via di quel post. Invece, Repubblica, per tacere dei deputati PD su Twitter, per tacere addirittura del sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, per tacere di decine e centinaia di migliaia di cittadini, non hanno saputo resistere alla tentazione di dire del disgusto che hanno fisicamente provato di fronte a quel faccione che mangiava loro in faccia. Hanno twittato o commentato, o ironizzato sul pane e Nutella, condizionati dall’emozione del momento, come avrebbe fatto qualsiasi altro essere umano in preda a quell’emozione. Azzerando la propria autorevolezza. Lo scopo di medio-lungo periodo della strategia è proprio questo: manipolare le reazioni affinché quelle di pancia prevalgano su quelle di testa, e logorare così l’autorevolezza delle istanze democratiche. Non solamente le istituzioni statali, ma innanzitutto le istanze sociali, a cominciare dall’opposizione politica ampia, dai media, and last but not least, dall’opinione pubblica, ormai quasi completamente logorata e cancellata dal dilagare delle piattaforme (anti)social che hanno sostituito al – controverso, ma indispensabile – concetto di dibattito pubblico il fuoco incrociato di frammenti pornografici di lingua, inviati da chiunque a chiunque, senza neanche più un minimo comune denominatore. E la pornografia linguistica dei social si sposa perfettamente con quella visiva: il food porn, in questo caso.
Per disinnescare questo meccanismo non c’è che una soluzione possibile: proteggersi la pancia. Affidarsi alle opportune mediazioni per recepire ciò che conta dell’operato, e del discorso di un politico, e per architettare la reazione migliore. Le mediazioni, in una società complessa, sono una salvaguardia indispensabile di pace: servono proprio per filtrare, per non cadere preda dell’emotività violenta che non ci permette di ragionare a mente lucida. La democrazia nel suo complesso è una delle forme di mediazione più sofisticate mai inventate, per quanto sia lungi dall’essere equa o libertaria. Mediazione fra poteri diversi e fra istanze sociali diverse. Anche la ragione umana è una facoltà di mediazione fra i segnali che il mondo ci manda, e che in preda alle sole emozioni ci renderebbero schiavi della reattività immediata. Ma la ragione non funziona in qualsiasi situazione: se siamo continuamente esposti alle sollecitazioni, la nostra capacità di mediare attraverso la ragione soffre. Il pensiero nel suo complesso va in tilt, rendendoci, appunto, schiavi della reattività immediata.
La disintermediazione digitale che con i social media ha trovato la sua consacrazione mette a dura prova di per sé, strutturalmente, la capacità di mediazione della ragione. Il bombardamento informativo a flusso continuo favorisce il meccanismo della reattività subitanea, attivamente suggerita dalle piattaforme (non a caso): di’ che ti piace, dai un cuore, commenta, condividi, inoltra, eccetera. Tutt’altra cosa è – era – leggere un giornale, già di suo dotato di un’architettura di organizzazione delle informazioni, ma soprattutto caratterizzato da un filtro nei confronti della realtà, rappresentato dalla notizia, e in particolare modo dalla notizia letta. La notizia è una forma di mediazione indispensabile, a maggior ragione quando si tratta di politica. Discernere ciò che è notizia da ciò che non lo è rappresenta un esercizio fondamentale di indipendenza da parte del giornalismo. Se tutto è notizia, significa che abbiamo perso la capacità di discernimento, o la libertà di scelta, o tutte e due. Se tutto è notizia, siamo in balìa di un sistema in cui non è più possibile proteggersi dalla realtà tramite la necessaria mediazione: non possiamo indossare gli occhiali da sole, né tapparci le orecchie. Viceversa, in un sistema informativo basato sulle notizie, è possibile che non arrivi ai nostri occhi il faccione Salvini che ci spalanca il suo apparato digerente davanti, ma se anche dovesse arrivare, avremo una difesa a disposizione. Se prediligiamo, come lettori, di informarci tramite un’architettura di notizie (cioè attraverso il giornalismo) e di metterci invece al riparo, nella misura del possibile, dal flusso di frammenti di realtà che i social sputano fuori a getto continuo – e che i quotidiani online, in molti casi riprendono senza la minima rielaborazione – sicuramente ci proteggiamo. Per dirla con il linguaggio che piace al Ministro, non c’è miglior Maalox che acquistare un quotidiano, una rivista o per altri versi un libro, per informarci sulla realtà. Ma anche dovessimo di nuovo imbatterci, sui social che tutti frequentiamo, in qualche disgustosa immagine mirata a provocarci, proteggiamoci comunque adottando lo stesso filtro. Dopo aver pensato “che schifo”, chiediamoci: è una notizia? Se sì, trattiamola come tale, e per quel che vale. Se no, cancelliamola rapidamente dalla memoria e andiamo avanti. Senza mal di pancia.

Giornalista, fondatrice di Kritica.it. Puoi leggere suoi articoli e saggi su MicroMega, Gli Stati Generali, Africa ExPress. Ha vinto diversi premi fra cui il Premio Luchetta – Stampa italiana nel 2022.