Abbiamo intervistato Marco Furfaro, deputato del Partito democratico, sulla manifestazione unitaria convocata dai tre partiti progressisti di opposizione per dire “Basta complicità” con la mattanza di Gaza, per il 7 giugno prossimo a Roma.

Una manifestazione unitaria delle opposizioni in favore del popolo palestinese contro il genocidio in atto a Gaza vi viene chiesta da tempo, quanto meno ve la chiede una parte della società civile italiana. Come siete arrivati alla determinazione di voler manifestare insieme in piazza il 7 giugno?

Credo sia la conseguenza naturale di una sofferenza provata da chiunque abbia un minimo di empatia umana,  di fronte alla tragedia di Gaza. Chi ha responsabilità politiche di rappresentanza ha il dovere anche di manifestare la propria voce. Per noi è il proseguimento del percorso cominciato con la mozione parlamentare unitaria, un atto politico che incalzava il governo a prendere degli impegni. Vediamo un governo inerte e anche un po’ ignavo di fronte a quello che succede a Gaza e di fronte alle azioni del governo Netanyahu. Perciò abbiamo deciso di dare un segnale per invitare a manifestare, di fronte a una situazione insostenibile innanzitutto dal punto di vista umano, non solo politico.

In questo anno e mezzo le persone non hanno mai smesso di manifestare contro il genocidio, però effettivamente non c’è mai stata una presenza centrale dei partiti, specialmente del Partito democratico.

Senz’altro, abbiamo visto tante manifestazioni e un disagio rispetto a quanto accade a Gaza molto forte espresso innanzitutto da migliaia di giovani, nelle piazze, associazioni, organizzazioni. Quindi c’è da tempo un fermento nella società, probabilmente mancava una parte di rappresentanza politica. Oggi proviamo a costruire un incontro fra il fermento sociale e la parte politica, per arrivare a una grande mobilitazione di massa che metta insieme l’attivismo più d’avanguardia che c’è stato in questi mesi con la gran parte della collettività politica.

In questo senso state cooperando anche con le realtà che da tempo hanno promosso e lanciato la manifestazione per lo “Stop al riarmo” del 21 giugno prossimo? Avete avuto incontri con loro per accordarvi?

Abbiamo dialogato e abbiamo cercato di mettere le istanze condivise su binari che non si fondono ma si incrociano, negli obiettivi. Il lavoro che associazioni e movimenti fanno da tempo va rispettato molto, hanno tenuto alta l’attenzione su Gaza in tutti questi mesi, e allo stesso tempo da parte nostra crediamo sia il momento di portare nelle piazze il nostro lavoro di rappresentanza politica, quello fatto nella mozione, o nella delegazione che è andata a Rafah in missione per rappresentare tutta quella grande Italia che non si identifica con l’operato del nostro governo, di fatto complice di quello israeliano e delle sue condotte.  I nostri partiti rappresentano una parte di Paese che ha bisogno di dire la sua, e questo va fatto accordando e mettendo in comunione fra loro le diverse iniziative, fra cui la manifestazione del 21 giugno prossimo ma anche l’iniziativa prevista a Marzabotto il 15 giugno. È una mobilitazione che incrocia più momenti e serve a dare voce a una parte di questo Paese che ha bisogno di dire che non intende essere complice con ciò che sta accadendo a Gaza, che intende sollecitare la comunità internazionale ad agire, a intervenire.
È anche una manifestazione per l’onore dell’Italia. Giorgia Meloni e Antonio Tajani non sono riusciti a pronunciare non dico la parola “genocidio” ma la parola “Netanyahu”, appena pochi giorni fa in aula. Il nostro ministro degli Esteri ha persino negato che si stiano commettendo crimini di guerra. Un atto di servaggio contro il potere del governo israeliano inaudito, mentre nel frattempo mandano avanti il Decreto sicurezza che rappresenta una impersonificazione della ferocia di Stato contro le persone più deboli, più emarginate della società.

Roma, 4 aprile 2025, un momento della manifestazione contro il riarmo organizzata dal M5s – © Kritica

“Basta complicità” come dite nel titolo della manifestazione è un appello che si può rivolgere anche all’Unione europea, oltre che al Governo italiano.

Assolutamente sì. Ci sono stati Paesi come che hanno tenuto la barra dritta, come la Spagna di Sánchez, ci sono le dichiarazioni di Emmanuel Macron sul riconoscimento della Palestina, o quella di Malta, la più recente, ma l’Unione Europa rimane complice, con il suo silenzio.  La Storia ci chiederà conto di questo, nel futuro.

Come state trattando le divergenze sulle vicende in corso presenti all’interno del Partito democratico? Una parte del partito, sicuramente quella che fa riferimento alla formazione di Sinistra per Israele, non si rispecchia nella mozione unitaria che avete presentato in Aula e che ritenete la piattaforma di convocazione della manifestazione.

All’interno del Partito democratico la mozione è stata scritta, decisa e votata da tutti i parlamentari del Pd, all’unanimità. Perciò queste divisioni non le riscontriamo, a mio avviso si tratta di discussioni da ceto politico, che non interessano realmente la società italiana.

Siamo sicuri di questo? Le posizioni di un progressismo saldamente filo-israeliano che criminalizza ogni forma di solidarietà con il popolo palestinese sono molto presenti nel nostro dibattito pubblico e condizionano la presa di parola di tante persone.

Non dobbiamo dare così tanta importanza a quanto affermano giornali che onestamente non ritengo affatto rappresentativi del dibattito pubblico a livello popolare. A mio avviso sarebbe un modo per distrarre dalla notizia principale, ovvero una grande manifestazione nazionale finalmente unitaria per dire insieme Basta allo scempio in atto a Gaza. Questa è la luna, il resto per me è il dito.

Attraverso un giornale importante come La Stampa, Edith Bruck, molto critica nei confronti del governo Netanyahu, ha invitato le persone a scendere in piazza per Gaza portando con sé anche le bandiere israeliane. È una richiesta che molti ritengono velenosa: non scenderemmo mai in piazza per la fine della guerra in Ucraina sventolando le bandiere russe. Cosa ci si deve aspettare dalla manifestazione del 7 giugno in questo senso? Non c’è il rischio di provocazioni che possano creare situazioni difficili da gestire?

Le parole d’ordine della manifestazione del 7 giugno sono chiarissime, e non prestano il fianco ad annacquamenti: basta bombe su Gaza, vogliamo il Cessate il fuoco, il riconoscimento dello Stato di Palestina, la fine delle complicità e delle collaborazioni fra Italia e Israele. La condanna è netta nei confronti del governo Netanyahu, questo non toglie nulla alla condanna del 7 ottobre e alla richiesta di liberare gli ostaggi ancora nascosti da Hamas. Ma lo spirito della manifestazione mi pare inequivocabile, nessuno ce l’ha con il popolo israeliano in quanto tale, il tema sono le scelte politiche e le loro conseguenze. Da parte mia chi vuole manifestare è benvenuto, chi intende utilizzare la piazza perché cerca il suo minuto di celebrità, i suoi distinguo, sappia che sta facendo il male non dei suoi avversari politici ma di tutte le donne, gli uomini e i bambini che in questo momento sono sotto le bombe.

Sappiamo bene che molti di questi distinguo utilizzano l’accusa di “antisemitismo” in modo strumentale. In una lettera al Fatto Quotidiano di qualche giorno fa, si raccontava come la ministra Eugenia Roccella avesse inaugurato i lavori della Cabina di Regia del “Piano nazionale contro il razzismo, la xenofobia e le discriminazioni” concentrandosi solo ed esclusivamente su una presunta recrudescenza di antisemitismo, senza neanche fare riferimento all’odio anti-palestinese o contro gli immigrati. Da parte di numerose forze c’è un impegno accanito a far passare qualunque dibattito critico nei confronti dello Stato di Israele, qualunque forma di antisionismo, come antisemitismo.

Curioso, perché la ministra Eugenia Roccella è una regina della discriminazione. È una ministra che non riconosce le famiglie, se non del tipo che decide lei. Promuove ogni giorno discriminazione nei confronti delle donne, che se non sono madri sono donne di serie B. Tornando al tema, personalmente mi considero una persona che negli ultimi 15 anni si è occupata tanto di Israele e Palestina puntando a costruire ponti di pace, battendomi contro Hamas, e sottolineando che la persecuzione indiscriminata nei confronti dei palestinesi avrebbe prodotto come effetto quello di generare un clima di favore verso Hamas. Sono sceso in piazza contro l’antisemitismo, contro l’odio verso gli ebrei, spesso espresso in modo concreto e violento da personalità di destra, organizzazioni giovanili di destra. Utilizzare l’antisemitismo per tappare la bocca a chi legittimamente e giustamente critica l’operato israeliano è una forma pelosa di schieramento in favore di chi invece ammazza i palestinesi, e questo è.

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