In occasione dell’iniziativa “L’ultimo giorno di Gaza” il 9 maggio scorso Federica D’Alessio ha intervistato per Kritica la giornalista Rula Jebreal, con cui ha parlato del suo libro ora in libreria, Genocidio. Quel che rimane di noi nell’era neoimperiale. Quella che segue è la trascrizione dell’intervista, andata in onda sul nostro canale YouTube.

English version is here.

“Genocidio. Quel che rimane di noi nell’era neo-imperiale” è in libreria dal 6 maggio per le Edizioni Piemme e sta già facendo molto parlare. Ha ricevuto recensioni importanti come quella di Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera, ma anche l’apprezzamento di tanti lettori comuni che lo stanno leggendo, regalando e discutendo. Ho avuto il privilegio di occuparmi della curatela del tuo testo, abbiamo lavorato insieme per alcuni mesi, intensi e importanti. Nella giornata dedicata alla sensibilizzazione su Gaza, per la quale è stato scelto il nome “L’ultimo giorno di Gaza”, torniamo sui contenuti del libro, innanzitutto partendo dal fatto che in realtà questi non sono gli ultimi giorni di Gaza, perché “l’ultimo giorno di Gaza” va avanti da decenni. Nel libro racconti di questo continuo presente di persecuzione subita dal popolo palestinese, questa ongoing Nakba, una catastrofe continuativa che ora sta vivendo una fase di barbarie inaudita.

Grazie Federica, sono tanto grata per per tutto quello che abbiamo fatto insieme. Hai ragione, questo libro è nato ovviamente con tutto quello che sta accadendo a Gaza, con questo genocidio, ma questo genocidio ha radici molto lontane e molto lunghe. Sono anni e anni, a mio avviso, che si stava preparando. La classe dirigente israeliana, e soprattutto questo governo di fascisti in Israele, hanno deciso di sfruttare l’evento del 7 ottobre per portare avanti un’agenda politica che è la loro da sempre, senz’altro da almeno 58 anni, da quando [dopo la guerra dei Sei giorni nel 1967, ndr] hanno occupato militarmente un pezzo importante della Palestina. Il progetto della destra israeliana è sempre stato questo, ma adesso gode di un consenso ampio da parte della maggioranza della società israeliana: vogliono tutta la Palestina senza i palestinesi. Una sostituzione etnica vera e propria, in cui ogni episodio va utilizzato e sfruttato per cacciarli dalla loro terra e portare avanti un genocidio. Nel 1948, quando fu istituito lo Stato israeliano, ciò avvenne in  contemporanea con l’espulsione forzata, la pulizia etnica di 750.000 palestinesi, due terzi degli abitanti autoctoni e indigeni del del territorio del territorio palestinese. Furono distrutti 500 villaggi palestinesi, hanno provato ad alterare persino il microclima, importando alberi dall’Occidente non adatti al clima locale, per questo oggi vediamo incendi nel territorio israeliano che non divampano nei Paesi vicini; hanno bruciato o sradicato gli ulivi e piantato pini e altre specie inadatte al clima. Ma la cosa incredibile è che questo progetto di insediamento, annessione, espulsione ed esproprio è qualcosa di cui i leader israeliani parlano da sempre; il padre di Netanyahu, uno storico, vissuto negli Stati Uniti, è sempre stato legato a queste idee, alle idee di una destra radicale israeliana che ha sempre creduto che i palestinesi dovessero essere espulsi in massa lontano dalla Palestina, usando la violenza e il terrorismo dei coloni,  illegali eppure accompagnati e protetti dall’esercito, e ora finanziati palesemente da questo governo. Persino i servizi segreti d’Israele li chiamano terroristi. Questo progetto di pulizia etnica è in marcia da sempre. Nessuno in Occidente parla in maniera chiara del fatto che nel 2023, prima del 7 ottobre, sono stati uccisi in Palestina 244 palestinesi, sono stati commessi due pogrom in due diversi villaggi palestinesi, Benaya e Hawara, e che il Ministro della Finanza israeliano ha celebrato questi pogrom contro i palestinesi e i villaggi bruciati.
Inoltre, sono anni che Israele commette crimini di guerra e crimini contro l’umanità ovunque in Palestina, compreso nella Cisgiordania occupata e compresa Gerusalemme est, dove sono cresciuta. All’interno di Gerusalemme est c’è un centro di tortura, si chiama al-Mascobiyya. All’interno, secondo la testimonianza di Josh Paul,  che era a capo del Dipartimento di Stato americano, sono stati riferiti casi di stupro di bambini di 13 anni. Questo era il clima generale, che il mondo aveva deciso di ignorare, finché è scoppiato il 7 ottobre. Dopo il 7 ottobre l’Occidente si è svegliato, con l’idea del “dobbiamo difenderci dai terroristi!”, cancellando tutta la storia precedente, la storia di palestinesi oppressi, repressi e torturati, stuprati, massacrati da anni. Come se tutto fosse iniziato con il 7 ottobre. E quando il segretario dell’ONU Ántonio Guterres ha detto “Guardate che no, non è iniziato tutto il 7 ottobre” e ha invitato a comprendere il contesto storico, è stato accusato di antisemitismo.
Perché è importante parlare di questo? Perché oggi non è l’ultimo giorno per Gaza, con tutto il rispetto per chi ha scelto il titolo di quell’iniziativa. C’è ancora tempo per salvare vite umane, per salvare i 40.000 bambini orfani a Gaza, per salvare i due milioni di persone che vengono affamate e bombardate tutti i giorni, per salvare i nostri colleghi giornalisti che sono ancora vivi, per salvare le famiglie, ma per salvare anche l’Occidente, la reputazione e la credibilità dell’Occidente democratico e soprattutto per salvare il diritto umanitario internazionale.

Nel libro racconti che proprio nel 2023, con una delegazione di personalità ed esperti, avevate cercato di lanciare l’allarme sulla possibilità del genocidio. Eravate andati fino a Bruxelles per provare ad avvisare che si stava preparando, appunto, una nuova Nakba. Oltretutto dichiarata, le intenzioni del governo Netanyahu erano abbastanza nero su bianco. Però non avete ottenuto ascolto.

A maggio del 2023, cioè pochi mesi prima del 7 ottobre, con una delegazione di politici, diplomatici, giuristi internazionali, abbiamo deciso di fare un viaggio a Bruxelles perché non avevamo più fiducia nell’amministrazione Biden. Anche perché ricordiamoci di Shireen abu Akleh, la nostra collega palestinese che era stata uccisa a maggio del 2022; una cittadina americana, uccisa da un cecchino israeliano con una pallottola made in USA, un fucile made in USA, e non c’è stato nessun processo.

Per me e per i miei colleghi la molla principale, tuttavia, fu che eravamo stati qualche tempo prima a Washington, per parlare con l’amministrazione e con l’Ufficio di Tony Blinken, il Segretario di Stato, e altri responsabili della questione palestinese, e ricordo come fosse ieri che la loro risposta fu: “Il Medio Oriente è calmo”. Così ci rispose Jake Sullivan, consigliere di sicurezza nazionale. Ebbi l’impressione che vivesse in un mondo alternativo. Appena poco prima era uscito un rapporto delle Nazioni Unite in cui si indicava che di tutti i posti a rischio per potenziale genocidio, la Palestina e Israele erano tra i primi.
Ecco perché abbiamo deciso di lasciar perdere con gli Stati Uniti e andare con questa delegazione. Con Daniel Seidemann, che è un avvocato e diplomatico israeliano, con un ex ambasciatore americano per Israele e tanti altri. E siamo rimasti scioccati perché abbiamo incontrato molte persone, tra cui anche la Vicepremier dell’Europarlamento Pina Picierno, che ci dissero letteralmente che in quel momento erano impegnati sugli accordi di Abramo, i quali, delle due, avrebbero dovuto far temere un’accelerazione della violenza, visto che normalizzavano i rapporti tra Israele e alcuni regimi arabi bypassando completamente la questione palestinese; accordi commerciali, economici, militari, ma non avevano niente a che fare con i diritti dei palestinesi o con la fine della colonizzazione. E poi mi ricordo questa frase, che ho inserito nel libro: “Se volete, possiamo organizzare un incontro con l’ambasciata israeliana”. E io lì ammetto di essere rimasta scioccata; alti funzionari europei che delegavano a Israele il problema dei pericoli in corso per il popolo palestinese. Non ne volevano sapere mezza, se ne sono strafregati. Ed erano le stesse persone che mi avevano invitata a parlare all’Europarlamento dell’Ucraina, e io avevo accettato, perché ci credo, perché credo che il diritto internazionale vada applicato in maniera imparziale e che i crimini di guerra vadano giudicati al di là dell’etnia o della religione di chi li commette, così come delle vittime. Poi però, quando ho provato a far riflettere quelle stesse persone sulla Palestina, la risposta più o meno è stata che non gli interessava. Hanno abdicato totalmente al loro ruolo politico, un fallimento catastrofico. Ma d’altro canto hanno risposto la stessa cosa anche dopo il 7 ottobre: hano delegato interamente a Israele il diritto di difendersi.

La ministra degli Esteri europea è andata proprio di recente in Israele e al ministro degli Esteri israeliano ha detto “noi siamo dei partner, siamo alleati, siamo collaboratori”. Scioccante. È stato appena pochi giorni dopo aver scoperto la fossa comune in cui erano stati giustiziati e gettati 14 paramedici palestinesi, uccisi con colpi alla testa nelle loro ambulanze seppelliti nelle fosse comuni, costruite con le ruspe, scavando una fossa e buttandoli dentro. E noi abbiamo scoperto questo crimine grazie al telefonino di un ragazzo che ha filmato tutto, che chiedeva perdono alla madre prima di morire, dicendole “perdonami mamma, questa è la mia missione, volevo salvare vite umane”.

Io non mi capacito di come possano i nostri rappresentanti in Europa, in Occidente, non alzare un dito per salvare vite umane, non riesco a capire come non riflettano sul fatto che, se si vuole sconfiggere il trumpismo in Europa, l’unica strada è la legalità internazionale. Non è armarsi di più, non è comprare armi dagli Stati Uniti, ma armarsi di giustizia, di legalità internazionale. Ci vuole una Norimberga per la Palestina. Non solo per salvare palestinesi e israeliani da questa follia totale in corso, ma per salvare la democrazia. Altrimenti ci ritroveremo con un’Europa piena di persone simili a Trump. Perché cos’è il trumpismo, cos’è il fascismo di Trump, nella pratica? Nella pratica è proclamare che non ci sono leggi: non c’è una legge internazionale, garantisco io la tua sicurezza perché sono più armato, perché ho armi nucleari. Cioè torniamo alla situazione precedente la prima guerra mondiale. Perdiamo la garanzia che i conflitti si possano risolvere non attraverso la legge del più forte, la legge della giungla, ma attraverso un sistema giuridico, un’architettura di leggi, di trattati e convenzioni che proteggono chi è armato e chi non lo è. Stiamo tornando indietro.

Nel libro racconti anche quanto e come persone in veste di medici, di personale sanitario, ma anche in veste di giornalisti, o di giuristi, si siano impegnate e si impegnino ogni giorno per salvare le persone di Gaza e in Palestina, per fare sì che emerga la verità dei fatti contro la propaganda e anche per appunto, continuare a dare una strada praticabile al diritto internazionale. E ci sono tante interviste importanti nel libro, quella con il giornalista di Al Jazeera Wael al Dadouh, quella al giurista Omer Shatz e altre. Cosa emerge da questo quadro? E in che cosa i potenti della Terra, che avrebbero il potere di fermare una mattanza, stanno completamente sbagliando bersaglio?

Avrebbero soprattutto l’obbligo giuridico di fermarla, non solo il potere, da esercitare solo se si ha voglia. Ci sono stati ordini della Corte penale internazionale, della Corte di giustizia internazionale, ordini di cattura per Netanyahu, per Galant (oltre che per il leader di Hamas Sinwar) e tutti i leader occidentali hanno, più o meno, dichiarato che non l’avrebbero rispettato. Dunque, cosa stanno dicendo, che la legge non vale per Netanyahu? Che non vale per Putin, non vale per Duerte nelle Filippine? Allora non vale per nessuno. E dichiarando questo, stanno distruggendo la loro credibilità davanti al mondo. Per tanto tempo l’Occidente si è vantato di essere di essere quel sistema che seguiva un ordine giuridico mondiale, o almeno cercava di seguirlo. In questo momento il Sud globale sta guardando all’Occidente non solo come ipocrita, ma anche come complice di crimini contro l’umanità. Dicono all’Occidente: siete sempre stati colonialisti, imperialisti, ipocriti, falsi, perché il diritto non vale per le persone che somigliano a noi. Quando Gustavo Petro, il Presidente della Colombia, dice “la Palestina sarà il nostro futuro”, ha completamente ragione, e lo vediamo già. Vediamo ora questi missili sparati dall’India verso il Pakistan. Sai cosa sta dicendo l’esercito indiano? Sta dicendo: “Vogliamo implementare la dottrina israeliana”. La legge della giungla, di nuovo. Due paesi armati con armi nucleari, il Pakistan e l’India. Stiamo andando verso la fine dell’umanità e della civiltà. E sai chi altro sta usando la terminologia israeliana, “scudi umani”, “danni collaterali”, “diritto alla sicurezza”? I gruppi armati che operano in Somalia e che stanno sterminando altri somali. Gaza sta diventando una dottrina globale, grazie alla complicità dell’Occidente. La Corte internazionale di giustizia ha detto già a febbraio dell’anno scorso che Israele stava usando la fame come arma di guerra. Febbraio del 2024. Siamo a maggio del 2025 e nessun Paese ha fatto niente. Avevano l’obbligo di sanzionare Israele, di far scattare un boicottaggio economico, ma avevano anche l’obbligo di fare scattare la cosa più importante, quando si annuncia un rischio di genocidio, ovvero la responsabilità di proteggere i civili. Nessun Paese occidentale ha fatto nulla, anzi hanno continuato ad armare Israele. La Gran Bretagna, la Germania, l’Italia, gli Stati Uniti sono complici nel genocidio coloniale e in risposta a questo, che sia chiaro, io mi aspetto un’ondata di terrorismo. Un’ondata vera di violenza contro l’Occidente. Non dobbiamo sorprenderci se ciò avverrà. Perché se la risposta di Israele è distruggere la legalità internazionale, questo spiana la strada all’affermazione del terrorismo. I terroristi diranno: se le leggi non valgono per Israele, non valgono per nessuno. E nessuno viene processato, perché noi dobbiamo rispettare quella legalità? Si sta mandando un messaggio terrificante e io temo si stia creando un ordine mondiale nuovo, nel segno di Trump e Netanyahu, e in quell’ordine nessuno è al sicuro. Chi pensa di essere protetto solo perché vive in Occidente si sbaglia, perché i futuri palestinesi siamo tutti.

Sono concetti che fai capire in maniera molto chiara nel libro. Uno dei capitoli più duri da leggere, però anche più importanti e illuminanti, riguarda la guerra contro i giornalisti, contro chi va in cerca dei fatti e prova a informare. Anche in questo senso stanno saltando tantissime regole. Penso al fatto che Gaza è inaccessibile ai giornalisti indipendenti, non c’è modo di entrare a documentare quello che succede. E ciò ha significato anche caricare sulle spalle di tanti giornalisti palestinesi un compito immane, che molti hanno pagato con la propria vita. Tu stessa racconti, l’hai fatto anche in un documentario che hai presentato proprio ieri alla CNN, che anche questo non è cominciato con il post-7 ottobre, che ci sono stati episodi precedenti, come il già citato assassinio di Shireen Abu Akleeh. Su che cosa vi soffermate in questo documentario e perché ha a che fare con il genocidio in corso a Gaza?

Esattamente tre anni fa – l’11 maggio 2022 – Shireen Abu Akleeh, la nostra collega americana-palestinese, era andata a Jenin (in Cisgiordania) a coprire le notizie. In quel momento era vestita con l’elmetto da giornalista e portava il giubbotto con scritto “Press”: Stampa. Era con un gruppo di amici che sono suoi colleghi di Al Jazeera, perché lavorava per Al Jazeera, ed era il volto di Al Jazeera in Palestina. Tutti la conoscevano. Il cecchino che l’ha uccisa guardando attraverso il telescopio sapeva perfettamente chi fosse. Sapeva benissimo che stava uccidendo la voce dalla Palestina, l’ambasciatrice, in qualche modo, davanti al mondo mediorientale, degli eventi dalla Palestina. È stata uccisa con un colpo alla testa, e Israele immediatamente ha cominciato a raccontare bugie. Il Primo Ministro israeliano, che all’epoca era Naftali Bennet – uno che nel passato si è vantato di avere ucciso molti arabi e che non c’è nulla di male nell’uccidere molti arabi – ha fatto subito un video dicendo che erano stati i militanti di Hamas a ucciderla. I nostri colleghi della CNN, del Washington Post, ma anche i nostri colleghi israeliani, sono andati, hanno indagato, hanno visto, sono andati a Jenin, hanno intervistato tutti, hanno fatto vedere dov’erano gli israeliani, dov’erano i palestinesi, e hanno scoperto che non c’erano militanti. Non c’erano. Quindi già la prima bugia è stata smentita. Allora Israele ha cambiato la narrazione dicendo “Ah, non avevano capito che era una giornalista, non avevano visto che era una giornalista, c’era una persona con una telecamera e l’hanno scambiata per un altro oggetto”, seconda bugia, palese. Come fa un cecchino a sbagliarsi in questo modo? Anche quella viene smentita immediatamente dai nostri colleghi. E ancora ne hanno dette molte altre. Il presidente Biden, che subito aveva chiesto giustizia per lei, quando ha capito che era stata ammazzata dagli israeliani ha iniziato a insabbiare e nascondere la verità. È stato chiesto a Israele di intervistare il soldato accusato dell’assassinio. Israele ha rifiutato. Biden è andato in Israele poco tempo dopo l’incidente e ha chiesto ai giornalisti di non fargli domande sull’accaduto. Non ha incontrato la famiglia di Shireen, cittadina americana, e non ha fatto niente per ottenere giustizia per Shirin. Secondo me, questo ha dato agli israeliani l’idea che possono commettere davvero qualsiasi crimine nell’impunità totale. Quello che sta avvenendo a Gaza è il frutto di tanti anni di impunità totale. Israele ha violato 40 risoluzioni Onu, l’unico paese al mondo. Ha violato tutti gli ordini della Corte penale internazionale e la Corte di giustizia. E continua a farlo. Israele continua a calpestare il diritto internazionale tutti i giorni e nonostante questo vengono premiati dall’Occidente. Per aver distrutto l’ordine giuridico mondiale. Tanti occidentali fanno un calcolo politico, pensano “quella roba lì rimane in Medio Oriente”. Pensano che i palestinesi, persone come me, siamo una sottospecie che può essere sacrificata. Quando ho parlato con Gideon Levy, uno straordinario giornalista israeliano, mi ha detto: se a Gaza fossero stati uccisi 20.000 cani randagi, gli israeliani sarebbero arrabbiati. Ma 20mila bambini, quelli possono essere futuri terroristi e quindi va bene a ucciderli. Questo ti fa capire tutto del momento drammatico in cui siamo. I palestinesi sono completamente disumanizzati agli occhi degli israeliani e anche dei governi occidentali. Sacrificabili mentre allo stesso si sacrifica la democrazia, come ha fatto in America Joe Biden. Joe Biden e Kamala Harris hanno perso l’elezione non per via di Trump ma grazie alla catastrofica politica su Gaza. Quando Harris ha detto “non cambierò la mia politica su Israele”, quello è stato il giorno in cui ha perso le elezioni. Ha perso i progressisti, gli afroamericani, gli arabi americani e i musulmani americani e soprattutto i giovani, che erano disgustati dalla politica mercenaria criminale di Biden.

Sì, c’è uno scollamento in corso nella società, fra la gente comune che comunque in maggioranza non certo auspica il genocidio, non certo auspica lo sterminio del popolo palestinese, e dall’altro lato la politica, che poi prende le decisioni e non rispetta, come dici tu, gli obblighi internazionali, i doveri della democrazia. I pilastri che compongono la società democratica stanno crollando in Palestina uno dopo l’altro. Anche questo nel libro è spiegato in modo chiaro, penso a cosa sta significando lo smantellamento dell’UNRWA, dell’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, lo racconti intervistando anche il segretario, Philippe Lazzarini. È l’agenzia che si è occupata di garantire per decenni ai palestinesi e alla società palestinese sotto occupazione la dignità, in tutte le sue forme. Oppure il fatto che gli oltre 200, circa 230 colleghi nostri e colleghe nostre giornalisti che sono stati assassinati, sono stati letteralmente giustiziati, non sono state vittime collaterali dei bombardamenti ma sono stati presi di mira e colpiti. Wael al Dadouh lo dice, “ci puniscono attraverso i nostri figli”, nel suo caso è stata sterminata quasi la sua intera famiglia. Allora ti chiedo, dal punto di vista di chi vive in questa parte di mondo, secondo te la reazione sta prendendo qualche forma? C’è bisogno secondo te di reagire a questa situazione? Perché vicende come anche quella della Taverna Santa Chiara di Napoli per esempio, negli ultimi giorni qui in Italia, ci dicono che la gente non ne può più di essere così impotente, di non dire nulla, di non schierarsi. Cosa possiamo fare?

La gente, soprattutto l’opinione pubblica opinione mondiale, è inferocita, che sia chiaro. Le persone sono inferocite perché vedono questo genocidio coloniale, sentono la propaganda dall’altra parte, vedono le azioni di indifferenza, di complicità dei governi occidentali e ne sono disgustate. Negli Stati Uniti è per questo che non sono state disposte a votare una Kamala Harris che sapevano molto bene essere meglio di Trump. Ma la complicità del genocidio nell’amministrazione Biden, come mi ha detto lo scrittore americano Ta Nehisi Coates, è “una linea rossa”. Ha detto “se il genocidio non è una linea rossa, se non sei disposto a denunciare un genocidio e salvare vite umane, allora sei disposto a sacrificare chiunque”. Questo è un momento di grande chiarezza nell’opinione pubblica mondiale. E questa ondata sta arrivando ovunque nel mondo e mi fa ricordare la guerra in Iraq. Durante la guerra in Iraq l’opinione pubblica mondiale è stata ignorata. Sono andati davanti e hanno distrutto il Medio Oriente, letteralmente, e con esso hanno distrutto una parte dell’America e una parte dell’Occidente, provocando un’ondata di emigrazione e un’ondata di terrorismo, e minando totalmente la stabilità del Medio Oriente. Quella guerra la volle Netanyahu, che oggi infatti continua a insistere, dice che abbiamo bisogno di un’altra guerra con l’Iran. E in questo momento, proprio in questo momento, mentre stermina i palestinesi a Gaza, sta bombardando la Siria e sta bombardando regolarmente anche il Libano, nonostante il cessate il fuoco e le risoluzioni Onu. Abbiamo a che fare con uno Stato canaglia, uno Stato terrorista, che continua a pensare che l’Occidente deve appoggiarlo come se tutto fosse dovuto. E l’atteggiamento di tanti cittadini israeliani che vanno all’estero come quella signora, che a Napoli ha detto “Ah, ma Israele è un paese meraviglioso, dovete venire”, non so se fosse provocatoria o no, beh è normale la reazione di risposta: “Vi rendete conto?”. Ma loro non si rendono conto. Non vedono i palestinesi. Usano per ucciderci lo stesso linguaggio che si usava in Rwanda. Animali umani, sottospecie, vermi. Questo è il linguaggio che usano. Non dimenticherò frasi di Ministri, un ministro come Eliyahu che ha detto “Bisogna buttare una bomba atomica a Gaza”, o Dichter, ministro dell’Agricoltura, che continuava a dire “Stiamo attivando la seconda nakba”. O altri che festeggiavano dopo il 7 ottobre, dicendo “Questa è la nostra opportunità per finire il lavoro”. Il lavoro è lo sterminio. Hanno anche dichiarato, lo ha fatto un generale israeliano a dicembre in un articolo, di dover usare la fame come arma di guerra. È la stessa persona che ha scritto un piano in questo senso, e non parliamo di un piano nuovo. Lo ha scritto nel 2003. Nel 2003 era il consigliere per Ariel Sharon per Gaza, il quale aveva detto: “Chiuderò Gaza e butterò la chiave”. Il suo consigliere gli aveva proposto un piano per regolare persino il conto calorico dei palestinesi, non affamandoli completamente, ma dare loro 750 calorie al giorno, cioè leggermente sotto il livello della fame. La stessa persona ha scritto nel 2023, a dicembre, un articolo sostenendo l’uso della fame per completare lo sterminio a Gaza, in cui dice “Dobbiamo ignorare l’opinione pubblica mondiale e portare avanti questo sterminio non solo con le bombe ma soprattutto attraverso l’uso della fame e delle malattie”. Infatti, non è un caso che Human Rights Watch, Amnesty International, Medici senza Frontiere, Save the Children, tutti parlano dell’uso della fame come arma di guerra come la conferma che sono in corso atti genocidari. La gente vede a casa questi bambini che muoiono di fame e che vengono bombardati tutti i giorni, il 75% degli abitanti di Gaza sono ragazzi sotto i 25 anni, cresciuti in un mondo che era una prigione a cielo aperto, con un conto calorico di 750 calorie al giorno. Molti di loro quando Hamas è salito al potere non erano nemmeno nati. Punirli per i crimini di Hamas è criminalizzare collettivamente tutti i palestinesi. “Non ci sono civili a Gaza” è una cosa che viene detta anche dal leader laburista israeliano, Herzog, alla testa di quella che potremmo chiamare sinistra, anche se per me è diventata una bestemmia dire che c’è una sinistra in Israele. Non esiste ormai da anni. Quando Herzog dice “non ci sono civili innocenti”, sta dicendo che una nazione intera è colpevole dei crimini di Hamas. Secondo me anche quello è un incitamento diretto al genocidio.

Da Israele viene fuori un paradigma anche sul piano sociale. Una società basata sull’odio, sul razzismo, sulla paura, sul senso di minaccia. E penso che in qualche modo le società mondiali, nel sud globale, ma anche in Occidente, stiano intuendo che quello potrebbe essere lo stile di vita che aspetta tutti, precipitare in questa violenza e in queste forme di odio totalmente incontrollate.

Le persone avvertono che la classe dirigente politica attuale è disposta a sacrificare anche loro. Secondo me l’opinione pubblica molto più intelligente e molto più avanti. Sanno benissimo che abbiamo una classe dirigente europea, composta da Ursula von der Leyen e tanti altri, che è disposta a sacrificare tutti noi, per un disegno di mondo che secondo me è davvero feroce, senza regole e senza leggi. Quando all’Europarlamento hanno votato contro la proposta di discussione di un attentato terrorista su sul suolo europeo – quello contro la Freedom Flottilla attaccata in acque internazionali nei pressi di Malta, ndr –, contro una nave umanitaria europea, hanno lanciato un segnale agghiacciante per tutti noi. Anche noi in Occidente siamo sacrificabili. Se quell’attentato avesse ucciso cittadini europei, io sono sicura che non avrebbero reagito. Avrebbero proferito qualche condanna vuota, ma Israele l’avrebbe fatta franca, come la sta facendo franca su tutto.

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