“Oceano pacifico” titola oggi Il Fatto Quotidiano per descrivere la piazza di ieri a Roma, ed è una descrizione decisamente calzante. Decine di migliaia di persone hanno costruito un corteo colorato e felice, in cui campeggiavano bandiere della pace e bandiere della Palestina, oltre a quelle di partito, del Movimento 5 stelle in primis, un nutrito settore di Rifondazione Comunista, oltre a sparute bandiere in rappresentanza di Sinistra Italiana e AVS. Poche bandiere italiane, una marea di cartelli e striscioni autoprodotti.

Una piazza per la Palestina

L’impatto della solidarietà con il popolo palestinese è stato, sicuramente per chi scrive ma anche per alcune delle persone intervistate in piazza, ciò che più regalerà, a lungo, un ricordo felice di questa manifestazione. Dopo oltre un anno e mezzo in cui non è stato possibile, se non in presidi o cortei spesso infeudati da logiche movimentistiche e settarie, portare all’aria aperta il proprio sentimento di solidarietà con un popolo sotto i colpi di un genocidio feroce che vede complice l’intero establishment occidentale, infine è arrivata l’occasione che in tanti abbiamo invocato, di cui avevamo bisogno: un moto popolare di vicinanza umana alla Palestina, espresso in modo pacifico, senza il minimo cenno di odio nei confronti di nessuno, neanche nei confronti di Israele. Una solidarietà come moto dell’animo e politico, giacché è il coraggio di portare in piazza questa solidarietà e la repressione nei confronti di chi lo fa che sta rappresentando da tempo il grimaldello della affermazione di un sistema autoritario globale in tutto il mondo occidentale. Dalla Germania agli Stati Uniti – dove ieri, in concomitanza con la piazza romana, sono scese per strada centinaia di migliaia di persone contro le politiche di Trump, anche in relazione al ruolo primario nel genocidio a Gaza –, attivisti solidali con i palestinesi vengono ovunque repressi, arrestati, deportati, incarcerati senza aver commesso reato. Dire “Free Palestine” è considerato terrorismo, far saltare in aria bambini al ritmo di centinaia al giorno no. Viviamo in un mondo alla rovescia; e infine, prima ancora che con il logos, ieri in piazza decine di migliaia di persone lo hanno potuto dire, respirando insieme, all’unisono, un senso di umanità, accordando fra loro i sentimenti. Senza bisogno di grandi parole, sono state le migliaia di keffiah a parlare, le bandiere, i cartelli, gli striscioni.

Non contro l’Europa ma per una Europa diversa
Lo ha ribadito Giuseppe Conte dal palco ma lo hanno scandito anche le persone in piazza. Certamente alcuni settori più specificamente anti-europeisti erano presenti, ma nel complesso la piazza di ieri rifletteva pienamente le posizioni del Movimento 5 Stelle per come sono realmente, oltre le caricature che ne fanno i media: a difesa di un’Europa di nuovo democratica, che sia l’Europa del Welfare e non quella dell’economia di guerra, l’Europa dei diritti e non quella dell’autoritarismo, l’Europa della gente comune e non quella delle élite. L’Europa dei lavoratori e non quella padronale così bene espressa dalla Piazza del Popolo del 15 marzo scorso, convocata da Repubblica con il concorso di una fetta importante di intellighenzia borghese. E con la partecipazione della CGIL, che ieri invece era del tutto assente in manifestazione. Con i padroni sì, con la gente comune no?

Chi c’era e chi non c’era
Proprio in virtù dell’approccio così solidamente di classe riguardo all’Europa e al riarmo europeo come espressione di volontà padronali, l’assenza dei sindacati dei lavoratori è quella che maggiormente si è notata nella piazza. Oltre alla già citata CGIL della quale non erano presenti neanche singole rappresentanze, neanche singoli comitati di fabbrica, solo alcuni volantinatori in vista del referendum di giugno, anche tutte le altre sigle mancavano. Il sindacato di base USB, in onore alla sua vocazione settaria, ha deciso di tenere un presidio di lotta in contemporanea con la manifestazione, a poche decine di metri di distanza. L’assenza delle rappresentanze dei lavoratori in una piazza composta prioritariamente da lavoratori è un punto su cui riflettere: dove si è interrotta la comunicazione? È il sindacato che non ascolta più la gente comune, o è il Movimento 5 Stelle che dal punto di vista politico non è in grado di connettersi con le istanze sindacali?

Entrambe le cose, forse, sono vere. È noto che alla CGIL le battaglie per un’economia del post-lavoro, per così chiamarla, più care al Movimento – in particolare quella per l’introduzione del salario minimo legale – non sono mai state care, distanti come sono dall’idea di un sindacato della concertazione. Tuttavia, rappresentare le istanze politiche dei lavoratori su questioni che hanno così radicalmente a che fare con i loro destini di classe, come l’ingresso in una fase di economia di guerra – che il piano di riarmo europeo inaugura in pompa magna – rappresenta un dovere per un sindacato. Su questo terreno, la capitolazione della CGIL, che non ha mai indetto un solo presidio di solidarietà con il popolo palestinese a livello nazionale durante un intero anno e mezzo, ha un precedente illustre nella storia: somiglia tanto a quella della socialdemocrazia tedesca alla vigilia della Prima guerra mondiale. Non solo perché parliamo di enormi carrozzoni – la CGIL in Italia è l’unico carrozzone politico rimasto da ormai decenni – corrotti da nomenclatura e burocrazia in altri casi, ma perché così come nel 1914, ricordava anche Alessandro Barbero dal palco, anche oggi è l’ingresso nell’economia di guerra e nella politica di guerra che rischia di rovesciare la classe lavoratrice europea e precipitarla in futuro di sofferenza e oppressione.

L’assenza del PD si è sentita? L’ha sentita prima di tutto il PD stesso, che ha mancato un’occasione clamorosa per costituirsi a livello popolare, rivelando una volta di più che la sua naturale vocazione è quella al notabilato, all’intellighenzia, non alla rappresentanza di popolo. Ma sono gli elettori i soggetti primi, in democrazia. Non le classi dirigenti. La sparuta e silenziosa delegazione di parlamentari inviata da Elly Schlein ha avuto una funzione diplomatica, non politica. Politicamente parlando, il Movimento 5 Stelle, con tutto il sistema dei media contro, ha messo a segno un punto innegabile, realizzando una delle pochissime, forse solo la seconda da quando è iniziata la Seconda Repubblica, manifestazione di partito capace di darsi un carattere moltitudinario, plurale e popolare. La prima, a memoria di alcuni nostri lettori, fu una manifestazione indetta da Veltroni, a Partito Democratico appena nato, nel 2008 contro Berlusconi, in piena campagna antiberlusconiana.

La piazza di ieri ha espresso tutt’altro afflato, ricordando a tanti partecipanti più attempati le epoche di piazze unitarie convocate dal Partito Comunista, del quale hanno sfilato tanti appartenenti, non solo grazie a una nutrita presenza di Rifondazione Comunista, ma perché una foltissima generazione di anziani, provenienti da quella lunga storia, ha portato in piazza braccia, gambe, capelli bianchi, ricordi e speranze che non ne vogliono sapere di tramontare. C’erano anche giovani, non in maggioranza di certo, ma organizzati in spezzoni vivaci fra cui quello del Network Giovani, la giovanile del M5s, che ha aperto il corteo, fluidamente, senza servizio d’ordine visibile, senza cordoni di sicurezza. Altre tradizioni, altre storie politiche. Ma un grande bisogno di ri-trovare valori comuni da tradurre in posizionamento collettivo e condiviso. A questa ricerca, che non può non passare per le piazze, il Partito democratico ha evidentemente abdicato, configurandosi nel corso del tempo come un partito borghese ed elitista, funzionale all’unità nazionale padronale e a scongiurare qualsiasi prospettiva di classe nella politica italiana.

Non troverete una simile lettura della piazza di ieri sui giornali. La stragrande maggioranza della stampa ha preferito dare risalto a presenze ultraminoritarie, come quelle della tiktoker Rita De Crescenzo, che non ha portato nessuno in corteo tranne sé stessa, e ciononostante è stata attorniata da un nugolo di giornalisti evidentemente intenzionati a creare una notizia che non c’era attorno alla sua presenza, suscitando anche grande fastidio nei manifestanti tutt’attorno; altra stampa settaria di sinistra ha dato forte risalto alla presenza di settori più riconducibili alla cosiddetta “galassia rossobruna”, come lo spezzone, invero vivace e partecipato, di OttolinaTV, il network di controinformazione diretto dal verace Giuliano Marrucci. Al di là della volgarità di alcuni slogan, e di posizioni ambigue tenute nel tempo dalla rete, che certamente ammicca in modo – a parere di chi scrive – molto dannoso alla necessità di un superamento ideologico fra destra e sinistra in nome di un posizionamento antiatlantista geopoliticizzato, che vede più che di buon occhio leader come Putin o come la Cina di Xi Jinping, bisogna tuttavia riconoscere che chi era in piazza anche con questo spezzone non ha espresso questo genere di istanze, sintetizzabili come una sorta di nuovo grillismo delle origini. Se queste vanno contrastate, va anche segnata una distanza profonda con il Movimento 5 Stelle attuale, che da molte di queste posizioni si è affrancato nel corso del tempo, superandone la rozzezza incarognita, e operando una trasformazione verso una realtà ancora in definizione, ma certamente più popolare, più democratica e più costruttiva rispetto alla composizione “antisistema” di quindici anni fa.

La piazza di ieri infatti, in ultimo, sancisce che il Movimento 5 Stelle è definitivamente uscito dalla sua fase destruens per porsi come un punto di riferimento politico a tutto tondo, fra la gente che spera, non fra quella che odia. Questo non lo mette al riparo da permanenti ambiguità, comuni in questa epoca a tutte le compagini politiche, comprese quelle della destra. Ma fornisce alla gente comune una possibilità di interlocuzione politica, orizzontale, all’interno della stessa classe. E questa è una ottima notizia.

E l’Ucraina?

Tanti commentatori infastiditi dalla manifestazione di ieri, anche da sinistra, stanno utilizzando il seguente argomento per svilire il valore della manifestazione di ieri: l’assenza di persone e bandiere ucraine, a dimostrazione di un diffuso putinismo di piazza. È una posizione che riteniamo non solo tristemente settaria, ma moralistica, e perciò immorale, e non-politica: il vero punto politico di fondo è chiedersi, e farlo da sinistra, senza reggere il moccio ai Carlo Calenda di turno, se un’Europa del riarmo possa essere in qualche modo un’Europa che al di là delle dichiarazioni faciliti la fine della guerra e dunque la possibilità di vita e libertà per il popolo ucraino, e in che termini.

Molti settori che si sono fatti maniacalmente prendere dall’illusione di poter battere Putin sul terreno militare, nonostante ormai quasi tre anni di stallo, dai mesi della controffensiva di primavera 2022 in avanti, e di impossibilità ormai certificata dallo stesso Zelensky di ottenere vittoria militare oltre che – ed è il punto principale – la crescente diserzione dall’esercito, continuano a battere su questo stesso chiodo in modo più gratificante per il proprio ego maniacale di quanto non sia realmente utile agli ucraini.

Se un nuovo internazionalismo a fianco dei popoli va ricostruito, bisogna prima di tutto, come priorità massima, assumere una chiara posizione di rifiuto delle istanze dell’élite europea del riarmo. Solo a partire da lì, opponendosi a ogni logica di acconsentimento ai riarmi nazionalistici o diretti dalle élite, si può cercare una strada politica, possibilmente rivoluzionaria, di sostegno al popolo ucraino. Posizioni che non fanno i conti con questo sono intrinsecamente moraliste, difendono petizioni di principio e di dottrina che non sono peraltro capaci di trasformare in alcun genere di istanza politica reale; e diventano di per ciò stesso immorali.

Per noi europei e non solo, in questo momento al cuore di ogni espressione di solidarietà con i popoli, da quello ucraino a quello palestinese, e con le classi subalterne, che sono l’espressione concreta dei popoli specie quando si parla delle loro sofferenze, c’è una questione cruciale: combattere l’Europa delle classi dominanti, affermare un’Europa della gente comune che lavora, che fa la società democratica, che fa la solidarietà umana.

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3 commenti

  1. Sono contento che qualcuno finalmente parli di moralismo, che è una cosa di destra. è anche una malattia dell’attivismo inteso come sforzo profuso anche con generosità ma limitato a una sola causa. Senza visione generale certi muri non si abbattono

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