Dopo aver parlato con Marco Furfaro del Partito Democratico e con Stefania Ascari del Movimento 5 Stelle, intervistiamo il deputato di Alleanza Verdi Sinistra Marco Grimaldi sulla manifestazione unitaria “Basta complicità” con il genocidio a Gaza del 7 giugno prossimo.
Qual è il principale obiettivo della manifestazione del 7 giugno, a suo avviso?
Con questa manifestazione rispondiamo alle parole di di Netanyahu, colui che dopo 70 giorni di blocco dell’ingresso di qualsiasi aiuto umanitario a Gaza, un embargo utilizzato come strumento di guerra, ha detto che i primi 5 TIR servivano “per far abbassare la pressione dell’opinione pubblica”. Ecco, noi la alziamo, invece. Proprio perché c’è una seconda superpotenza al mondo – la prima dà piena copertura a Israele – che è l’opinione pubblica, allora l’opinione pubblica deve fare ancora più rumore. Il 7 giugno serve a questo, e serve a unire l’opposizione politica in Parlamento con l’opposizione civile, quindi con la gente, per chiedere a tutta la comunità internazionale di fermare chi sta commettendo crimini di guerra, chi è responsabile di un vero e proprio massacro. Noi di Alleanza Verdi Sinistra lo diciamo da tempo. Siamo testimoni diretti, siamo andati prima in Cisgiordania e poi al valico di Rafah. L’occupazione israeliana è responsabile dell’apartheid ed è responsabile del genocidio, perché siamo in presenza di un vero e proprio tentativo di rendere quel luogo del mondo un luogo sterile. È un luogo dove da più di 600 giorni non c’è più una scuola funzionante, non c’è un ospedale, siamo davanti a un piano di pulizia etnica.
Quando avete cominciato a ventilare fra voi l’ipotesi di una manifestazione unitaria, quando è nata questa esigenza, e come l’avete messa in relazione con il percorso che porterà alla manifestazione del 21 giugno contro il riarmo?
Lavoriamo a una manifestazione unitaria come Alleanza verde sinistra da tantissimo tempo, addirittura l’avevamo lanciata al nostro Congresso (il Congresso di Sinistra Italiana di novembre del 2023, ndr). Il fatto che sia passato così tanto tempo fa capire i limiti e le difficoltà del percorso di un lavoro unitario, che però ha portato a tanti disegni di legge depositati che una volta forse non avrebbero avuto quel quadro di intesa: penso al salario minimo legale, alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, al congedo di genitorialità. Abbiamo avuto anche punti di convergenza inaspettati, per esempio l’unità sul caso Stellantis, e oggi anche sulla politica estera, sulla quale si diceva fossimo tanto divisi. Il punto di partenza è l’urgenza di questa unità, un’urgenza compresa dai leader, tutti e quattro, e ovviamente da un corpo politico che, da dietro, spingeva da tempo per arrivare a questo tipo di mobilitazione. È soprattutto la società civile a chiedercela. Penso a Youssef Hamdouna di ACS Italia, che faceva parte con noi della Carovana al valico di Rafah, e che proprio dal valico ha telefonato alla sua famiglia in lacrime. Lui si è rivolto a tutta la carovana dicendo “Ora torniamo in Italia, ma troviamo il modo di fare una grande manifestazione, come succede negli altri Paesi”. E così secondo me sarà. Sia il 7 giugno sia il 21 giugno.
Noi infatti il 21 giugno saremo in piazza, perché crediamo che i promotori di quella manifestazione abbiano ragione. Crediamo che abbiano ragione tutti i soggetti della società civile che ci chiedono di fermare il riarmo. Un riarmo che ci porta lontano sia dalla giustizia climatica che dalla giustizia sociale, in quanto le risorse vanno a un’economia di guerra che impoverisce il welfare, e che rende ancora più distante l’obiettivo di ridurre le emissioni e il nostro impatto negativo sull’ecosistema terrestre.
Alleanza Verdi Sinistra, come lei ricordava, non ha titubato nel denunciare quello che stava succedendo a Gaza, nel denunciare la pulizia etnica dei palestinesi da parte di Israele. Si è attivata insieme a una parte dell’opinione pubblica che in tutto questo anno e mezzo ha subito, per via delle sue posizioni, repressione, ostracismi, attacchi. Adesso, di fronte alla prospettiva di una manifestazione unitaria, proprio dalle fila di quella parte si stanno sollevando varie perplessità sull’opportunità di una manifestazione unitaria che viene vista come una iniziativa di compromesso nei confronti di altre parti politiche – per esempio una parte del Partito democratico – che non ha avuto in alcun modo la stessa limpidezza di schieramento, in tutti questi mesi. Come risponde a questo settore sociale?
Rispondo dicendo che in politica bisogna essere una persona in più e non una persona in meno di ieri; e che sono contento che la scorsa settimana le opposizioni abbiano presentato unite una mozione al cui interno si mettono in fila tutte le cose giuste, a partire dalla richiesta di sanzioni a Israele. Non ai coloni, si badi bene, ma a Israele-Stato, e si chiede anche l’interruzione dell’accordo UE-Israele. È la dimostrazione che le nostre posizioni sono diventate unitarie. Non mi interessa francamente fare l’esame del sangue a nessuno su cosa pensava 400 o 500 giorni fa. L’importante è che quella piattaforma non abbia ambiguità, e non ce le ha. Spiega esattamente le ragioni per cui a Gaza in questo momento si è fermata l’umanità. Credo che il fatto di essere andati a Rafah in una grande delegazione unitaria, che ha visto coi propri occhi che cosa vuol dire un valico diventato un muro, ecco, credo che abbia anche aiutato il nostro percorso di unitarietà.
Rispondo inoltre, che sabato prossimo dobbiamo essere in tantissimi. Perché ci sono anche quelli che in 600 giorni non hanno affatto cambiato idea, non hanno affatto aperto gli occhi, e continuano a essere pienamente complici del genocidio in corso ed è alle loro posizioni che dobbiamo rispondere.
Giorni fa durante un’intervista al quotidiano La Stampa, successivamente ripresa sul suo profilo social Elisabetta Piccolotti, del suo partito, ha dichiarato che a suo avviso le bandiere israeliane sarebbero benvenute in piazza, se espressione di posizioni pacifiste di cittadini israeliani. Anche questa sua dichiarazione ha provocato un’ondata di contrarietà e di indignazione. Cosa risponde?
Presentarsi in piazza sabato 7 giugno con le bandiere israeliane rischierebbe di essere una provocazione. Noi in delegazione abbiamo incontrato i leader di opposizione, i quali ricordo sono tutti passati per le forche caudine dell’impeachment e della sospensione. In Israele, non ho paura di dirlo, è in atto un processo di fascistizzazione e anche i politici di quella parte di opposizione – mi riferisco a Ofer Cassif e ai rappresentanti della cosiddetta Lista Comune – che prova a rappresentare tutt’altro da questo processo sono molto più simili a un Giacomo Matteotti, che non al CLN, per fare un paragone storico. Ovvero non hanno alcuna possibilità, da soli, di cambiare Israele dal di dentro e di arrestare la fascistizzazione in corso dello Stato di Israele. Perciò, per quanto siamo solidali con le grandi manifestazioni che in Israele chiedono la fine del governo Netanyahu, ahimè oggi la bandiera israeliana è integralmente rappresentativa di ciò che sta facendo il governo in carica. Non credo si debba scendere in piazza con le bandiere israeliane d’altro canto per dire che noi non siamo contro l’annientamento di uno Stato; a favore dell’annientamento di uno Stato sono quelli che a Gaza non permettono di avere un piano vaccinale, né di avere accesso all’acqua e all’elettricità. Sono convinto che sabato ci saranno tante bandiere palestinesi, tante bandiere dell’associazionismo, e che non c’è bisogno di subire la provocazione delle bandiere israeliane.

Giornalista, fondatrice di Kritica.it. Puoi leggere suoi articoli e saggi su MicroMega, Gli Stati Generali, Africa ExPress. Ha vinto diversi premi fra cui il Premio Luchetta – Stampa italiana nel 2022.